Le nuove generazioni della scena

Al festival OperaEstate di Bassano, una sezione dedicata ai giovani vincitori del Premio Scenario e del Premio Ustica
opera bassano

Dopo la sezione iniziale dedicata alla danza, B.motion, il segmento dedicato ai temi del contemporaneo di Operaestate Festival Veneto di Bassano del Grappa ha aperto la sezione teatro ospitando per la prima volta l’intera “Generazione Scenario 2011”, che comprende i vincitori del Premio Scenario (uno dei più importanti riconoscimenti nel panorama della sperimentazione teatrale italiana) e del Premio Ustica, segnalati e con una menzione speciale. Quest’ultima è stata assegnata alla Compagnia Inquanto Teatro per lo spettacolo Nil admirari (non stupirsi di niente) con la seguente motivazione: «Per l’arguzia di un gioco scenico che coinvolge il pubblico con intelligenza e ironia e per la creazione di un linguaggio originale che inventa un mondo parallelo popolato di oggetti e governato dall’accumulo e dal non senso». Miriadi di oggetti, di storie, di scorie e di strutture ci stanno davanti quotidianamente. Tutte avrebbero un valore, una dignità, un preciso significato, se fossero sole. Ma in mezzo a loro ci siamo noi esseri umani, così precari, provvisori, incapaci di sopravvivere anche solo ad uno degli oggetti che animano la nostra vita.

 

Arriva dalla provincia di Foggia il vincitore dell’edizione 2011 del Premio Scenario, Matteo Latino, che con Infactory racconta la condizione dei trentenni. Una realtà esplorata, allusa, svelata con crudeltà e poesia attraverso la metafora di due vitelli a stabulazione fissa prossimi al macello. Un dialogo che non avviene, che è esposizione frontale, danza riflessa su schermi virtuali, poesia raffinata, di cui i due attori (oltre a Latino l’ottimo Fortunato Leccese) si fanno tramite per scoprire risorse lessicali, metriche, timbriche di una lingua inedita. Infactory rielabora la biografia e la letteratura, il mondo delle immagini e le nuovissime risorse della comunicazione interattiva per farsi lente di ingrandimento su uno spaccato generazionale sul quale si sospende il giudizio, ma si aprono molte domande.

 

Altri contenuti quelli trattati dai Respirale Teatro in L’Italia è il Paese che amo, segnalati per la loro capacità di costruire «una riflessione sulla contemporaneità che affronta con coraggio il passato recente attraverso un’originale e serrata sequenza di scene e quadri di vita dell’Italia anni Novanta». Un’indagine teatrale che rivela le radici prossime del nostro presente, dove l’illusione di un movimento vorticoso nasconde un sostanziale e asfittico immobilismo. La genuina capacità di prendere posizione e parola si realizza attraverso un linguaggio teatrale multiforme, che sovrappone e monta stili diversi, generi e ambienti abitati da tipi nazionali di immediata riconoscibilità.

 

Dall’incontro tra l’attrice-regista Laura Graziosi e l’attore-autore Davide Dolores è nato Pas d’hospitalité. Sulla scena una donna sola sciorina il ricco menu di una cena luculliana per la cui preparazione ha dedicato un intero pomeriggio. Sono due anni che non riceve nessuno e chissà se almeno stavolta gli ospiti arriveranno davvero. Una scena essenziale per un lavoro che, giocando la carta dell’ambiguità sul crinale tra verità e finzione, punta sulla capacità evocativa di un’attrice intensa, che con dolente malinconia fornisce il ritratto impietoso di una donna di oggi.

 

I bassanesi Ailuros hanno presentato in prima nazionale Yogurt, che racconta la nostra ossessione nell’essere in forma per farci ammirare, per vivere a lungo. Lo yogurt assurge a simbolo di salute, bellezza, piacere, persino sensualità. Tutto questo a declinare l’idea di immortalità, di eterna giovinezza. Divinità contemporanee per corpi incontaminati da sbattere a tutti i costi in copertina. Uno specchio deformato di ciò che siamo diventati, che ci costringe a guardarci dentro.

 

Il Colectivo TBT con Danzica ha presentato il secondo capitolo della “Trilogia della Città” che raccoglie storie di ordinaria emarginazione. Un cantico corale e struggente dove tre attori danno corpo a tre vite spezzate in una composizione fisica di grande efficacia. Nella perfetta tessitura drammaturgica che procede per flashback, risaltano temi come la mancanza e la conseguente fame d’amore, il forte senso di vuoto e l’inevitabile spiazzamento esistenziale. Lo spettacolo è un urlo, un monito, un messaggio dentro una bottiglia che nonostante tutto riesce sempre ad approdare a una riva di speranza e amore, perché se è vero che il senso può sempre racchiudersi in un unico, vibrante istante di luce e bellezza, allora anche per questi tre “Malavoglia metropolitani”, può esserci una redenzione, magari su di un palcoscenico.

 

La compagnia Città di Ebla, guidata dal regista Claudio Angelini, dopo l’indagine svolta sul corpo medico e sacrificale con il progetto Pharmakos, si è ora orientata su un materiale di partenza più convenzionale: il racconto letterario. La metamorfosi di Kafka inaugura un ciclo proseguito in forma di primo studio con I morti (The Dead) di James Joyce, e ora presentato a Bassano in un’ulteriore fase di evoluzione. Il nucleo del progetto riguarda la relazione tra alcuni nodi cruciali del racconto e l’utilizzo della fotografia in scena. Questa come portatrice di un sentimento di nostalgia e come storia di sguardi puntati su un altro mondo. Una sorta di slow motion attualizzato, per un utilizzo in scena della tecnica fotografica assolutamente originale e sorprendente.

 

La compagnia Anagoor ha portato a compimento il progetto Fortuny. L’arte come tensione morale, la disperata difesa della memoria, la fragilità della bellezza in un Paese che sembra calpestarla impunemente. Mariano Fortuny y Madrazo (1871-1949), andaluso di Granada e veneziano d’adozione, fu tintore di stoffe, alchimista, «stampatore di nuove generazioni di astri, pianeti, animali» nelle parole di D’Annunzio. Fortuny non è uno spettacolo attorno alla sua figura, ma di lui assume lo sguardo complesso sulla preziosa delicatezza di Venezia con l’intento di catturare il cuore del suo fervente lavoro sulla catalogazione della memoria e sulla trasmissione delle forme. La scena del conflitto è il ventre di una nave, l’interno di un palazzo, un museo, un’arca. L’adolescente che si scherma, come una crisalide, ma che ribolle sotto il cappuccio, è al centro di questa scena. L’azione è un tentativo corsaro di trafugare un tesoro di simboli ed immagini, violarli, strappandoli all’uso strumentale e non critico che si fa della storia e della tradizione, confidando nel potere sovversivo di questo stesso patrimonio.

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