Le nuove città di Louise Nevelson
Ecco una rassegna da scoprire. A Palazzo Sciarra a Roma, fino al 21 luglio, è di scena lei, la Nevelson, la scultrice americana di origine russa, scomparsa 25 anni fa.
Un personaggio singolare, una donna fiera di essere tale, tanto da non voler mai portare i pantaloni. Un’artista attenta all’arte dell’assemblaggio come pure alle espressioni dei nativi americani precolombiani. Il risultato non è una serie di sculture lignee dalle tinte o bianche o scure o marroni, di solidi incastrati, di pareti riempite da forme geometriche alternate a vuoti. Ma, a sorpresa, ci sono le città. Ogni pannello della Nevelson fornisce proprio questa impressione.
Nella sua fantasia fervida, ma anche organizzata, libera eppure geometrica ed ordinata, ogni opera è un’architettura, mentale certo, ma che poi si fa concreta. E le sue forme solide alla fine appaiono astrazioni, ma molto materiche, di case palazzi giardini dove si svolge la vita. Il legno, materiale che viene dalla vita, materiale mobile, lavorabile, caldo, è il segno luminoso di questa ricerca di vitalità.
Perciò passare in rassegna le creazioni della scultrice significa passare di città in città, attraverso visioni di città ideali e reali. Strano forse a dirsi, ma la poesia affettuosa, materica di queste opere è affascinante. Si sentono mondi lontani, antichi, raggiunti e riproposti. Mondi a venire, solidificati fra pieni e vuoti come fossero “persone”.
Questa non è arte astratta, informale, o con qualunque altro aggettivo – dei tanti che si sprecano, oggi – si possa definire. È l’arte di sapere far parlare la materia. Sostando con quel silenzio interiore necessario, ci si sente pieni di gioia, di libertà di stare al mondo, di godere della bellezza delle cose che ci sono e di conservarle, stilizzate, concentrate – come le sue sculture – dentro di noi. (catalogo Skira)