Le nuove assunzioni previste con il Jobs act
Con la consueta fermezza e con piglio decisionale, il giovane presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, ha usato toni entusiastici in occasione del varo dei primi decreti attuativi della riforma del lavoro (cosiddetto Jobs act). «L’avremmo dovuta fare noi» ha detto ultimamente Mario Monti intervistato da Gian Antonio Stella sul Corriere della sera. L’attuale presidente della Bocconi ha rivendicato il merito di essersi esposto all’impopolarità prendendo decisioni che altrimenti avrebbe preso la troika «con la brutalità che si è vista in Grecia», perché «parliamoci chiaro: la Troika è una forma di neocolonialismo».
A giudicare dalla larga maggioranza che l’ha votato, il Jobs act, ormai in fase operativa, non sembra che sia percepito come un provvedimento impopolare. Renzi lo definisce un primo passo di lotta vera contro il precariato piuttosto che contro i precari. Andranno quindi esaminati nel dettaglio gli effetti delle nuove regole sui diversi istituti relativi ai rapporti di lavoro.
Per tutti i nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato (contratti a tutele crescenti) vigerà la regola che in caso di licenziamento ingiustificato la tutela sarà solo di tipo economico. Un’indennità variabile a seconda dell’anzianità di servizio: due mensilità ogni anno di servizio con un minimo di 4 e un massimo di 24. L’opportunità di chiedere a un giudice il reintegro sul posto di lavoro resterà solo in ipotesi estreme (licenziamenti nulli, discriminatori e casi particolari di quelli disciplinari e cioè quando venga accertato dal giudice che il fatto materiale contestato ''non sussista”).
La nuova disciplina parte da lontano e si fonda sull’idea che le imprese siano propense ad assumere quando sono certi e prevedibili i costi del licenziamento (il “firing cost”). La previsione del reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato, previsto dallo Statuto dei lavoratori del 1970 per le aziende oltre i 15 dipendenti, avrebbe esposto, secondo questa tesi, gli imprenditori all’aleatorietà delle decisioni dei giudici.
Contrariamente alle aspettative della minoranza del Partito democratico, che credeva di poter incidere in sede di definizione dei decreti attutativi, il criterio dell’indennizzo monetario è stato introdotto ed esteso anche per i licenziamenti collettivi in caso di violazione delle procedure e dei criteri di scelta sui lavoratori da licenziare.
Questa maggiore facilità della flessibilità in uscita si accompagna alle agevolazioni previste dalla legge di stabilità circa l’esonero del versamento dei contributi per i primi tre anni in caso di contratti a tempo indeterminato (il lavoratore non deve aver avuto un contratto a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti).
Considerando la crisi che ha espulso dal lavoro, a partire dal 2008, un milione di persone si può prevedere che le nuove disposizioni potranno agevolare nuove assunzioni. La prassi ha dimostrato la facilità con cui anche dipendenti con professionalità consolidate sono stati costretti ad attraversare il deserto della disoccupazione e a reimpiegarsi in contratti precari.
Oltre la strada del contratto a tutele crescenti resta aperta la possibilità del contratto a termine secondo la formulazione del primo intervento del governo Renzi in materia (decreto Poletti): possibile senza causali predefinite, rinnovabile 5 volte nell’arco di tre anni.
Queste norme vanno considerate nella architettura complessiva del Jobs act (da approfondire) e si basano sulla dinamicità di nuove iniziative imprenditoriali capaci di attirare investimenti durevoli di capitali (siamo nella “direzione giusta” afferma Confindustria), ma ovviamente il dibattito è destinato a restare aperto perché il mutamento operato non è un dettaglio tecnico, ma un cambiamento di paradigma relativo ad un rapporto, quello di lavoro subordinato, che resta asimettrico e cioè stipulato tra poteri ineguali.