Le notti interiori di Chiara
Chiara stendeva un suo diario, dal quale appare uno straordinario rapporto con Dio. Per chi lo scriveva, per voi?
Lo scriveva per sé. Poi magari, dopo un certo periodo, quando forse le sembrava – ma io non lo so – di non avere molte cose da comunicare, rileggeva il suo diario e segnava i punti da mandare ai focolarini e alle focolarine.
Appare sempre la stessa logica: donare il frutto della propria unione con Dio.
Sì.
Faceva passare nella preghiera anche le grandi tragedie umanitarie?
Seguiva sempre il telegiornale in modo da essere aggiornata. Leggeva qualche volta l’Osservatore Romano o altri giornali, magari soltanto i titoli… Quando c’erano eventi di una certa portata, come l’abbattimento delle Torri gemelle di New York, allora a sera, quando ci trovavamo a pregare diceva: «Mettiamo nel cuore di Gesù quella situazione, preghiamo che si risolva quell’altra situazione, che ci sia la pace, la concordia…».
«Mettere nel cuore di Gesù», da dove viene questa sua preghiera? Mi sembra così tipica di Chiara.
Quando io sono entrata in focolare già si usava. Dev’essere venuta dalla Scrittura, dalla prima lettera di Pietro: «Gettate in lui ogni vostra preoccupazione perché egli ha cura di voi» (cf. 1 Pt 5, 7).
Chiara ha partecipato a tanti eventi pubblici, ad esempio in Piazza San Pietro a Roma, dove erano presenti le folle. Anche in quelle circostanza riusciva a pregare?
Nell’attesa approfittava per salutare le persone. C’erano certe personalità che aveva occasione di vedere soltanto in quelle circostanze e ne approfittava. Ultimamente salutava alcuni suoi amici, come i fondatori di altri Movimenti. Andava da tutti, anche per prima. Poi, quando c’era la messa o il papa parlava, ascoltava intensamente. Mai ho sentito fare dei commenti. Erano autentici momenti di preghiera.
In un suo articolo lei, Eli, ha parlato delle “notti” interiori vissute da Chiara. Secondo la teologia spirituale sono quelli i momenti di maggiore unione con Dio.
Quando Chiara stava passando la sua prima notte andava a consigliarsi da padre Giovanni Battista Tomasi, stimmatino, qui a Roma, in via del Mazzarino. Io l’accompagnavo, stavo fuori della porta o addirittura nell’auto. Lei ogni volta usciva contenta. Ma poco dopo mi diceva di accompagnarla di nuovo da lui. Prima era una volta la settimana, poi più volte alla settimana, sempre più spesso. A un certo punto padre Tomasi le diede un grosso libro di Giovanni della Croce, tutto dorato e lei, in macchina, ha incominciato subito a sfogliarlo. Vi si ritrovava. Si sentiva anche lei – come scrive il santo spagnolo dell’anima sotto prova – come un “ragno”, come un insetto.
Il focolare era in via Quattro Venti. Allora Roma non era estesa come adesso, c’erano ancora i campi attorno e i pastori con i greggi. «Mi piacerebbe essere quella pecora là, diceva, perché almeno non ha la volontà e agisce secondo la legge naturale». Ogni minima imperfezione la vedeva così ingigantita da sembrarle di fare peccati mortali. È proprio quello che san Giovanni della Croce descrive come notte oscura dello spirito. Chiara paragonava il suo cammino di vita spirituale con quello scritto da lui e trovava una profonda consonanza. Ma, per descrivere la “nostra” via fa come un passo avanti: per avere “Gesù in mezzo”, che è tutta la nostra vita, dobbiamo perdere non soltanto il nostro negativo, i nostri attaccamenti, l’“uomo vecchio”, ma anche le ispirazioni, l’“uomo nuovo”; dobbiamo spostare anche Dio in noi per amore di Gesù nel fratello. Parlava di perdere Dio per Dio, per l’unità vera, cioè per Dio in mezzo a noi.
Durante l’ultima notte interiore in Svizzera, nel 2005-2006, quando Dio, secondo la sua stessa espressione, sembrava «tramontato come il sole all’orizzonte», Chiara continuava a pregare?
Chiara non sentiva più Dio. Una volta mi ha detto: «Mi sembra di aver perso il carisma, di essere solo Silvia», non più Chiara.
Come Gesù che nell’abbandono si è sentito solo uomo.
Anch’io ho dato questa spiegazione: Gesù crocifisso e abbandonato ha amato fino a quel punto. Ma chi si trova in quella situazione non è capace di darsi questa risposta. Nonostante non sentisse più Dio, Chiara era fedelissima alla Messa, alle preghiere della mattina, prima di pranzo… sempre, sempre, direi più che mai. Prima, qualche volta, forse nell’apostolato, quando faceva i discorsi, le capitava di saltare qualche pratica di pietà. Invece alla fine era fedelissima e con una ampiezza nuova, che andava oltre l’Opera, oltre il cristianesimo, oltre tutto. Nelle sue preghiere ultime – Chiara faceva sempre preghiere spontanee dopo la Comunione – aggiungeva, per esempio: «Per tutti i moribondi del mondo, per tutti i peccatori». Continuava a pregare pur vivendo in sé questa notte terribile.