Le muse inquiete

Nella ricorrenza dei 125 anni dalla sua fondazione, la Biennale di Venezia presenta la mostra Le muse inquiete ripercorrendo la sua storia a partire dagli anni ’30 attraverso tutti i suoi settori: Arte, Architettura, Cinema, Danza, Musica, Teatro. Dal 29 agosto all’8 dicembre 2020 al Padiglione Centrale della Biennale.    

Già nella programmazione precedente alla crisi pandemica gli organizzatori avevano previsto la formula di un revival storico, ricavato anche in loco dall’Archivio Storico e nello stesso tempo di un dialogo fra tutte le espressioni artistiche della Biennale stessa, il cinema, il teatro, la danza, la musica, le arti visive e l’architettura. La mostra “Le muse inquiete” al Padiglione Centrale ai Giardini di Castello di Venezia, aperta dal 29 agosto all’8 dicembre, con documenti filmati, foto ed opere, apre uno squarcio sulle edizioni dal 1928 al 1997, ma vuole anche celebrare i 125 anni dalla nascita della sua istituzione nel 1895.

Il titolo deriva dall’opera metafisica di De Chirico del 1916, “Le muse inquietanti”, esposta alla Biennale del 1948, non tanto per il suo significato semantico, quanto per il riferimento linguistico, che calza bene con la sospensione delle attuali condizioni del mondo che stiamo vivendo.

È alquanto estraniante e lontana dallo spirito dei tempi attuali la documentazione della Biennale fascista degli anni Venti e Trenta, le cui partecipazioni erano dettate dal potere ed esclusive per l’Italia, chiusa agli altri Paesi e le cui inaugurazioni erano frequentate dai gerarchi nazisti in grande uniforme.

Il dopoguerra, dagli anni ‘48 al ‘64, esplode con i suoi sogni di speranza e di rinascita, dei suoi nuovi equilibri sociali e politici, del nuovo assetto mondiale e della guerra fredda, documentando le grandi energie della ricostruzione e aprendo le porte al mondo, con le sue libere espressioni d’avanguardia e internazionali e così si conosce Picasso e la pittura statunitense.

Le edizioni dal ‘68 al ‘76 registrano la rivoluzione culturale e sociale in atto in Europa, che rimbalza nelle arti; in particolare le arti visive subiscono un totale azzeramento di tutte le sue immagini, con l’arte povera, la land-art, la body-art ed altre tendenze, che vogliono rifondare i linguaggi dell’arte, privilegiando il rapporto con la natura.

Un altro passo fu l’esplosione dell’arte di strada, a partecipazione sociale, che partiva dal basso e mirava alla fruizione ed anche alla creazione dell’arte da parte di tutti; tutto ciò fu anticipato da un fermento che contestava anche la Biennale di essere festivaliera, carrieristica, competitiva e legata ai mercanti.

Nel ‘76 si celebrò anche la liberazione della Spagna dalla dittatura franchista, ma si accusò il colpo del dramma del golpe fascista del Cile, che diffuse in Europa gli Intillimani e la loro musica irredentista e suadente.

Nei primi anni ‘80 vennero accolti tutti gli artisti dissidenti dell’Unione Sovietica, che erano esclusi dalla considerazione del loro Governo, che accettava solo la propaganda del realismo socialista. E a noi pareva fossimo tornati indietro nel tempo, perché quegli artisti erano rimasti legati a ciò che avevano conosciuto prima del 1917, le avanguardie dei primi del ‘900, al massimo il costruttivismo astratto e talvolta addirittura l’impressionismo.

E sempre riguardo alle arti visive, oltre alle forme d’arte che tornarono alla considerazione della figura umana, il fenomeno della transavanguardia fu un modo visionario di considerare la creatività, in cui il riferimento alla figura umana era più o meno volutamente precario, deformante e primitivo.

E la mostra si conclude con il 1997 e attraversa i vari processi di globalizzazione, caratterizzati da un sistema di interferenze che hanno inciso sui modi di concepire l’arte.

Estrapolando alcune motivazioni degli organizzatori, il nuovo presidente Roberto Cicutto e la curatrice delle arti visive Cecilia Alemani, la Biennale vuole distinguersi come luogo di produzione e riflessione delle tendenze più innovative delle discipline artistiche contemporanee, in presenza di catastrofi ecologiche, pandemie, conflitti bellici e rivoluzioni sociali e confermare il suo ruolo di testimone privilegiato dei cambiamenti e dei drammi sociali dalla fine dell’80° ad oggi.

E, concludendo, noi fruitori eccepiamo quanto le sue proposte siano polivalenti, multiculturali, inclusive, dialoganti nel dimostrare quanto l’arte partecipi appassionatamente a tutte le realtà umane e agli sviluppi della storia e non si chiuda nel suo indecifrabile linguaggio, apparentemente o nel suo enigma, non solo registrando la realtà, ma spesso trasfigurandola e traendone riflessioni talvolta profonde ed empatiche o significati poetici, preziosi e di sostegno, conforto e respiro all’esistenza umana.

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