Le “miniere” di Rider Haggard
C’è l’emozione di penetrare in luoghi misteriosi, fra mille pericoli, alla ricerca di un favoloso tesoro di cui esiste una mappa. E c’è un personaggio che si rivelerà diverso da quel che appare” A quale romanzo potrei riferirmi? Se pensate alle peripezie del giovane Jim alle prese con i pirati dell’Hispaniola immortalate da Stevenson, siete in errore! Si tratta invece de Le miniere di re Salomone, che un giovanotto inglese originario della contea di Norfolk scrisse per scommessa nel 1885: si chiamava Henry Rider Haggard e ambiva a superare L’isola del tesoro con una storia ambientata, questa volta, nel Sud Africa, di cui egli aveva diretta conoscenza per avervi trascorso sei anni, prima al servizio del governatore del Natal e successivamente come alto funzionario nell’amministrazione del Transvaal. Quel contatto con un mondo selvaggio e affascinante (in particolare lo attrassero le vestigia delle antiche civiltà e i costumi primitivi) lo aveva segnato per sempre. Ai lettori il confronto fra questi due “classici” dell’avventura. Le Miniere si rivelò comunque un successo strepitoso, l’inizio di una carriera letteraria costellata di soddisfazioni per questo poco convinto avvocato inglese che aveva programmato di scrivere manuali di agricoltura e testi di storia (fra l’altro di questo romanzo ricco di suspense e situazioni avventurose sono state realizzate diverse versioni cinematografiche). Nel 1887 il successo si rinnovò con Lei, romanzo che esaurì in tre mesi 25 mila copie, anch’esso rivisitato per il grande schermo. Così anche Henry Rider Haggard aveva trovato le sue “miniere”, ma nella sfrenata immaginazione con cui – sposata una ricca ereditiera e rientrato in patria, per iniziare a lavorare presso uno studio legale – tentò di lenire la sua nostalgia per il Continente nero, scrivendo storie avventurose ambientate nelle foreste e savane da lui tanto amate. Con Le miniere di re Salomone, Rider Haggard creò uno dei personaggi- chiave dell’intera sua opera narrativa: Allan Quatermain, il cacciatore bianco che ritroviamo anche in altri suoi racconti. L’altro è Ayesha, la Donna Eterna (ovvero Lei), cui è dedicato un ciclo di quattro romanzi l’ultimo dei quali, Lei e Allan, vede riuniti i due personaggi, altrettanti simboli “dell’amore e della vita, che eternamente si inseguono per svanire entrambi non appena s’incontrano”. Va aggiunto che gli interessi dello scrittore furono i più vari. Oltre alla narrativa di carattere romantico-fantastico, produsse opere storico-politiche, nonché studi su problemi agricoli, economici e sociali (in uno di essi, Il povero e la terra del 1905, suggeriva soluzioni innovative adottate molti anni dopo). Di lui resta persino un prezioso manuale di giardinaggio. Negli ultimi anni di un’esistenza che, in contrasto con la produzione avventurosa, scorse piuttosto tranquilla nella tenuta paterna, viaggiò molto per conto della commissione reale per i Dominions. “Il mio piccione viaggiatore”: così lo chiamava la regina Vittoria, che nel 1912 lo nominò baronetto. Tra gli autori d’avventure, Rider Haggard è uno dei più controversi, perennemente diviso fra due tensioni: servire la causa del cosiddetto mondo civile, secondo una visione imperialista tipica della sua epoca e della sua formazione, e viceversa fuggire questo stesso mondo, soprattutto a causa delle sue costrizioni limitanti. Nella natura selvaggia e nei costumi primitivi – proprio quelli che il bianco civilizzato si proponeva di “redimere” – individuò i valori a cui tendere, una condizione vergine in cui l’uomo poteva esprimersi ed affermarsi (quasi sempre, purtroppo, a scapito dei popoli nativi considerati alla stregua di “fanciulli”). Di qui le sue narrazioni ambientate in Africa o in altre lande esotiche nelle quali anzi, quasi non bastasse la realtà, inventava delle oasi privilegiate del genere “mondi perduti”; quando addirittura non spaziava in altre epoche, sempre liberamente reinterpretate. E proprio in ciò consiste l’apporto originale della sua opera: bandito tutto ciò che è banale, prosaico o quotidiano, via libera al meraviglioso e allo straordinario, anche di stampo soprannaturale. Non a caso il “genere” che appare più intimamente collegato alla sua inventiva è la Fantasy, di cui può considerarsi uno dei precursori. Rider Haggard offre squarci di intelligente evasione ad un pubblico annoiato o stressato dalle incombenze d’ogni giorno: a ciò mirava la sua fatica letteraria, come peraltro lui stesso, molto semplicemente, riconosceva. E nella fedeltà a tale intento, al di là di alcuni elementi discutibili che si riallacciano, ad esempio, al mito del superuomo, a una religiosità pagana, alla reincarnazione”, sta il segreto del favore che ancora oggi incontrano i suoi romanzi. ALL’ INSEGNA DEL FANTASTICO Di rado si produce eroic fantasy intelligente, per cui vale la pena di riscoprire autori come Rider Haggard, che esercitò una notevole influenza su Edgar Rice Burroughs, il “papà” di Tarzan, e assieme a lui su altri scrittori, per quanto riguarda i diversi filoni del fantastico. Specializzata in questo campo, l’Editrice Nord ha pubblicato di recente – riunite in un unico volume dal titolo Olaf Spadarossa, l’uomo del Nord – tre avventure dell’omonimo vichingo, che dalla sua terra natia si dipanano nelle aree barbare dell’Impero Romano d’Oriente (qui accanto, una illustrazione tratta dal romanzo). Presso la stessa editrice è apparsa La saga dell’impero zulù, comprendente Nada il Giglio e La figlia dell’uragano. Ambientata nelle predilette lande africane al tempo del feroce Ciaka, noto come il “Napoleone dei bantù”, fa rivivere personaggi reali ed eroi della tradizione reale zulù. Per ritrovare invece luoghi e personaggi del ciclo della Donna Eterna, sono disponibili Lei e Il ritorno di Ayesha, autentiche pietre miliari della narrativa fantastica, riproposte dal Gruppo Newton e da Sellerio.