Le metamorfosi di Ovidio
Passare dalla “dolce vita” romana all’esilio tristissimo sul Mar Nero è stata una esperienza devastante. Succede così spesso nella storia della poesia – Dante, Foscolo – e anche nella vita di molte persone. Publio Ovidio Nasone nato a Sulmona il 43 a.C., l’ha provato. Ragazzo prodigio, si immerge nei circoli letterari della capitale dove trova poeti come Tibullo, Properzio, Virgilio.
Compone versi raffinati, inni all’amore libero negli Amores e nell’Ars amatoria, privo di riferimenti alla morale tradizionale, scrive un poema epico come le Metamorfosi quasi in concorrenza con l’Eneide virgiliana. Ma Augusto, il moralizzatore dell’impero che sta nascendo, non lo ama, e lo colpisce con l’esilio sul Mar Nero, nell’ 8 d.C., da cui inutilmente cercherà di tornare. Quale il motivo? La vita e la poesia troppo “libertina” oppure un segreto inconfessabile nella famiglia stessa dell’imperatore che il poeta casualmente ha visto? Il mistero rimane.
A duemila anni dalla morte – nel 17 o nel 18 d.C. – 250 opere da 80 musei internazionali, parecchie da Napoli mai viste, raccontano nelle Scuderie del Quirinale l’uomo e soprattutto il poeta e la sua eredità. Protagonista è la poesia. Ovidio racconta infatti con una emotività incalzante, ma anche con toni divertiti o sferzanti, il mondo delle passioni, l’amore nelle sue più diverse sfumature, intrecciando mito e realtà, epos e lirica.
Nelle Metamorfosi ciò avviene con pienezza. Sfilano creature indimenticabili, da Narciso a Perseo, da Andromeda a Dafne, da Dedalo e Icaro a Ganimede a Proserpina, e così via. Personaggi che ci sono arrivati grazie ai monaci copisti medievali, anche se talora “purificati” dai versi più imbarazzanti, che si possono ammirare nella mostra. Ecco allora la Leda di Leonardo, Apollo e Marsia di Ribera, Ganimede del Giambologna e poi i lavori di Tintoretto, Poussin, Batoni, Botticelli, fino all’installazione al neon di Joseph Kosuth che accoglie i visitatori. Senza dimenticare gli incantevoli affreschi pompeiani, e riandando con la memoria alle decine di dimore dipinte con temi ovidiani, anche presenti nelle stanze di Raffaello in Vaticano. Ricordando pure i romanzi, le poesie, le opere liriche, i film dedicati ai personaggi dati a noi da questo poeta amante della vita.
Essa è infatti la guida della sua opera, una vitalità esuberante, anche sfrenata e a volte intrisa di dolcissima malinconia e affetto per le creature che un mondo di divinità fin troppo umano aggredisce. Il panteismo ovidiano non è sempre sereno, per questo diverse storie delle Metamorfosi sono state viste nel mondo medievale come epiloghi morali. L’uomo con le sue passioni vibra nel suo poema più che gli dei a cui Ovidio crede ben poco.
Eppure, dopo aver cantato con sublime eleganza tutto ciò, la metamorfosi – il cambiamento–, avviene direttamente per lui. La poesia diventa più personale, purificata dalla richiesta di un perdono che non arriverà mai. Nei Tristia, i versi nostalgici, ricorda: “Quando ricordo la notte tristissima/ che fu per me l‘estremo addio a Roma/ ancora le lacrime mi scorrono dagli occhi”. Solo, angosciato, senza la moglie e la famiglia, il cantore della voluptas è ora senza affetti. La musica di queste poesie è come una marcia funebre. Ma con un ultimo scatto Ovidio afferma: “ …Finché Roma guarderà dai sette colli il mondo a lei soggetto/ i mie versi continueranno ad esser letti”. Ha avuto ragione. Le creature che ha evocato sono in mezzo a noi nelle opere d’arte, come forme di bellezza e di vita. Perché la poesia sa essere anche consolazione del dolore. La metamorfosi di Ovidio è completa. A noi rimane lo splendore di questa mostra. Da non perdere.
Amori, miti e altre storie, Ovidio. Roma, Scuderie del Quirinale. Fino al 20 gennaio (catalogo Arte’M per l’Erma di Bretschneider).