Le isole del tesoro

Le Pontine sono un cesello di cale, punte, faraglioni, grotte scavate nella roccia vulcanica: un universo di bellezza a largo della costa laziale
Isole Pontine

Appaiono appena al largo della costa laziale e al tempo stesso remote, come sospese tra cielo e mare. Sono un miracolo di bellezza, un cesello di cale, punte, faraglioni, grotte nella roccia vulcanica dagli straordinari cromatismi. Praticamente sconosciute a tanti italiani, che forse hanno più familiarità con le esotiche e decantate Seychelles o Maldive, ecco le Isole Pontine.

 

Alla scoperta di questo universo isolano, che ne ha vista passare di storia (da Agrippina, che qui conobbe un dorato esilio, ai pirati barbareschi che nel XVI secolo ne fecero il loro covo, un po’ ciò che fu la Tortuga per quelli delle Antille), ci imbattiamo prima di tutto in Ponza, con la sua minuscola appendice Gavi.

 

Cosa l’ha preservata da scempi urbanistico-turistici pur nelle inevitabili trasformazioni di questi ultimi decenni? Certo la sua nomea, fino ad epoca recente, come luogo di confino. Ma pure l’irraggiungibilità di tanti suoi figli, emigrati in America e in Australia, da parte di chi avrebbe desiderato comprarne le case o gli appartamenti.

E poi Zannone, l’isola-parco (fa parte integrante del parco nazionale del Circeo), l’unica che non abbia un’origine vulcanica: tutta boschi verdeggianti sopra e selve multicolori di gorgonie nei suoi liquidi fondali. E visto che siamo discesi profondità, vi segnalo un altro arcipelago sconosciuto ai più ma ricercato dai sub: sono i vari relitti di navi risalenti alle due guerre mondiali e ormai trasformati in scogliere pullulanti delle infinite forme di vita che offrono le profondità marine. Né mancano i resti di onerarie romane, che hanno restituito una profusione di anfore e di altri preziosi reperti.

Murene oggi come ieri nella peschiera di età augustea – altro ricordo del periodo classico a Ponza -oggi raggiungibile solo via mare, mentre in antico dovette essere collegata ad una sovrastante villa.

 

E un’altra simile struttura, destinata all’allevamento di pesci, si può ammirare nella più appartata isola dell’arcipelago, Ventotene, insieme al molo e ai magazzini di età romana, scavati nel tufo rossastro. Da luogo un tempo di pena, questo "ombelico del Tirreno" – così è stata definita – è meta ogni anno di un turismo crescente.

Come del resto è di Santo Stefano, la sua più piccola gemella che l’affianca ed è tutta un trionfo della macchia mediterranea fin dentro la sinistra mole del carcere borbonico dove languirono, fra gli altri, Luigi Settembrini, l’anarchico Bresci, uccisore del re Umberto I, e Sandro Pertini con altri antifascisti.

 

Perla fra tutte, Palmarola: intatta – malgrado disti poco più di sessanta miglia da una metropoli come Roma -, è oggi riserva naturale protetta, grazie alla saggezza dei ponzesi. Qui silenzio, rocce screziate, acque trasparenti e profonde. Qui sembra tocchi l’apice quel sentimento per il quale, da sempre, le isole rappresentano dei luoghi ideali, simbolici, dove cercare – e trovare – un tesoro.

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