Le invasioni del Libano
In questi giorni ad attacchi e bombardamenti in Libano da parte dell’esercito israeliano (Idf) contro i miliziani di Hezbollah, le Forze armate libanesi hanno voluto precisare – a riprova che il Libano non coincide con il Partito di Dio – che non sono vere le voci diffuse da alcuni media «secondo cui l’esercito si sarebbe ritirato di diversi chilometri dalle sue posizioni al confine meridionale. Il comando dell’esercito ha anche sottolineato la continua cooperazione e il coordinamento con la Forza d’interposizione delle Nazioni Unite in Libano (Unifil) in risposta all’evoluzione della situazione della sicurezza» (Agenzia Nova, 1 ottobre 2024).
Per forza, numeri e armamenti l’esercito dello Stato libanese non sono equiparabili alla milizia sciita paramilitare di Hezbollah, ma nel conflitto in corso l’esercito libanese non si oppone agli israeliani (che in fin dei conti stanno attaccando il territorio della repubblica libanese), invece sceglie di stare con la legalità internazionale rappresentata dalla forza di peacekeeping dell’Onu, i caschi blu, di cui fanno parte 10.500 militari di 46 Paesi. Il contingente nazionale più numeroso è quello indonesiano (circa 4 mila soldati), seguito dai circa 1.200 militari italiani. Ci sono anche indiani, ghanesi, nepalesi, malesi e 40 piccoli contingenti di altre nazioni.
Secondo il mandato del 2006, i caschi blu avevano il compito principale di stabilire una zona cuscinetto smilitarizzata di 60 km a nord della blue line. Compito che non è stato possibile attuare. E intanto le Idf bombardano il Libano, perché finora non si tratta di una vera e propria invasione, ma di bombe, missili e droni (che non sono ovviamente troppo selettivi sui bersagli) al ritmo di mille bombardamenti quotidiani su un territorio più piccolo dell’Abruzzo. Mentre Hezbollah non si è finora fatto troppo intimidire e risponde per le rime lanciando razzi e missili verso Israele.
Non è la prima volta che l’Idf invade il Libano, anzi è la quarta. Le precedenti sono avvenute nel 1978, 1982 e 2006. Su questo accanimento, c’è un arguto commento del caporedattore di l’Orient-Le Jour (quotidiano francofono di Beirut) il libanese doc Anthony Samrani, riportato integralmente su oasiscenter.eu (2 ottobre 2024). Nella traduzione di Oasis, Samrani scrive fra il resto con pungente ironia: Nessuno «sembra aver appreso la minima lezione dalla storia. Hezbollah rischia di farsi cancellare e di far cancellare una parte del Libano in un conflitto in cui il Paese dei Cedri ha tutto da perdere e assolutamente nulla da guadagnare. Israele per parte sua sembrerebbe in grado di riportare una vittoria militare, senza però riuscire a dare il colpo di grazia all’avversario. Più cercherà d’ottenere una vittoria totale, più correrà il rischio di perdere questa guerra sul piano politico. Come sempre in Medio Oriente, la logica del più forte prevarrà senza risolvere alcunché».
Il Libano, poi, di invasioni (tragiche e dolorose) ne ha conosciute altre, anche solo considerando il ’900. Penso alla caduta dell’Impero ottomano (che dominava dal XVI secolo) dopo la Prima Guerra Mondiale. A seguire il protettorato francese dal 1920 al 1943 e, dopo la guerra civile (ben poco civile), il di fatto protettorato siriano dal 1990 al 2005. Eccetera.
E prima? Mi viene in mente un sito archeologico fantastico. È uno spazio a cielo aperto poco a nord di Beirut, e non lontano da Byblos (Jbeil, in arabo), l’antichissima città fondata dai Fenici. Si chiama Nahr el Kalb, fiume del cane. Sulle rocce che fiancheggiano il fiume si conservano testimonianze epigrafiche e iconografiche incise sulla pietra: si tratta di 22 stele con rilievi e iscrizioni datate dal XIII secolo a.C. fino al XX secolo d.C. che l’Unesco ha definito “Memoria del mondo”.
Sono le lapidi lasciate da un buon numero di invasori e potenti passati di là o rimasti più o meno a lungo, negli ultimi 33 secoli. Le iscrizioni più antiche sono egiziane dell’epoca faraonica. Seguono le altre: ce n’è una assira, poi quella babilonese, ittita, greca, romana, araba, francese, britannica. C’è perfino la stele dell’imperatore Caracalla (inizi del III secolo d.C.) che concede la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero. La più recente è libanese, del 2005, e inneggia al ritiro degli israeliani dal Libano meridionale.
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