Le Idi di marzo
Apre stasera la 68° edizione della Mostra d’arte cinematografica di Venezia con il film di George Clooney. L’abbiamo visto in anteprima.
Le Idi di marzo sono state nel 44 a.C. l’appuntamento fatale per Giulio Cesare. Questa data, o meglio questa atmosfera torbida che ne ha determinato la fine, è rievocata nel film in cui George Clooney interpreta e dirige sé stesso ed un cast di formidabili attori in un thriller politico che, visto oggi in pieno clima della difficile presidenza di Obama, risulta di stringente attualità.
La vicenda del giovane guru della comunicazione Stephen Meyers (Ryan Gosling) è sintomatica dei giovani che si avvicinano carichi di passione al mondo della politica per poi soccombere alla tentazione del potere e del compromesso morale. Stephen infatti lavora per il governatore Mike Morris (George Clooney), candidato alla presidenza Usa. Personaggio che non ha alcun programma se non quello di essere il garante della costituzione americana, al di là di fedi, sesso e razza, senza alcun pregiudizio ideologico, come si usa in America. Morris è un uomo affascinante, cui il giovane dedica la propria fantasia e intelligenza, emergendo nello staff.
Intrecciato come un thriller, commentato da una musica volutamente ambigua, con dialoghi formidabili di schietto sapore teatrale, il film svolge un discorso per nulla tiepido sulla possibilità o meno dell’etica in politica, di cui a parole ci si dilunga di fronte alle masse e ai media. La narrazione perciò affronta il tema, senza spingere troppo il pedale ma senza nulla togliere alla realtà, e solleva il velo sul sottomondo della politica: denaro, sesso, corruzione mediatica. Smania di potere,in particolare. La lealtà, che pure muove alcuni personaggi, viene tacitamente e per forza di un destino che pare ineluttabile messa in secondo o terz’ordine. Nell’apparenza, il candidato alla presidenza è un uomo leale, onesto, affezionato alla moglie. Il giovane Stephen ne scopre invece i misteri occulti, e ciò conferisce al racconto il tono di un dramma del potere, che vagamente ricorda anche il Macbeth scespiriano. Stephen si trova allora radiato dallo staff. Così non gli resta altra scelta, anziché ribellarsi e cambiare aria e vita, che rimettersi nel gioco cinico del potere, rimpicciolendo anche lui la sua anima. Tanto che alla domanda di un intervistatore su come egli sia riuscito a rimettersi in sella, risponde solo un volto di pietra ed un silenzio sbigottito.
Il film, ben scritto e ben diretto, lascia allo spettatore di cercare la risposta, ma lo invita tacitamente a riflettere su etica e politica. «Non è un film pro o contro democratici o repubblicani», assicura Clooney. Però è certo che entrambi gli schieramenti troveranno materiale per pensare. Un film potente, profondo, senza un attimo di noia. Impensabile forse da noi,data la propensione europea, e italica, per i’ideologismo o il particolarismo, mentre qui si va in alto, o meglio, nel profondo. In sala stampa un prolungato, sentito applauso.