Le icone e i cani di Elliott Erwitt
40 immagini, scelte tra i lavori più celebri, di uno dei più importanti fotografi del XX secolo, in mostra a Merano
Le serie che ritraggono i cani e i loro padroni sono entrate nell’immaginario fotografico collettivo. Lo hanno reso famoso, unico. Fu attratto da un cagnolino con un pullover realizzato probabilmente dalla sua padrona di cui, nello scatto, sono rimasti solo i dettagli dei piedi. Da allora, il mondo del miglior amico dell’uomo è sempre stato indagato da Elliott Erwitt in modo spesso esilarante. I cani sono il soggetto di uno dei suoi libri fotografici più celebri come "Dog, dogs" in cui il celebre fotografo miscela la satira sociale con una sorta di iperbole della condizione canina.
Molti altri dei suoi scatti sono diventati icone del Novecento, come quelli di Marylin Monroe, di Nixon e Krusciov e, importante, è anche un suo libro dedicato al pubblico dei musei chiamato "Museum watching", in cui emerge la sua intelligenza nel considerare sempre il rapporto tra l’opera d’arte e lo spettatore, come punto di vista privilegiato della pratica artistica. Instancabile e sempre concentrato su nuovi progetti, Erwitt è un fotografo che lascia ancora il segno e che rappresenta non solo la storia della fotografia, ma anche un esempio di passione per un lavoro straordinario che lo ha portato a contatto con i grandi del Novecento, ma anche con le persone comuni e con la vita delle grandi metropoli.
Nato in Francia da una famiglia di emigrati russi, nel 1928, Erwitt vive i suoi primi dieci anni in Italia. Si trasferisce con la famiglia in Francia e da qui negli Stati Uniti nel 1939, stabilendosi a New York. Reporter sempre in viaggio, per Erwitt determinante è stato l’incontro con Robert Capa, co-fondatore, con Cartier-Bresson, Rodger e Seymour, dell’agenzia Magnum, la celebre cooperativa di grandissimi fotografi che sono stati i testimoni dei grandi eventi del secolo scorso. Nel 1953, poco prima della sua scomparsa durante la guerra di Corea, Capa fa entrare in Magnum il giovane Erwitt, che da lì a poco ne diviene presidente. Parallelamente inizia a pubblicare i suoi servizi fotografici dando importanza ai dettagli, con la sua caratteristica ironia. Del resto, non ha mai voluto dare al suo lavoro enfasi o sacralità, si limita sempre al visibile.
Grande narratore, Erwitt è unico nella sua generazione per la leggerezza del suo sguardo e per la capacità di saper trovare i lati più buffi e surreali di situazioni pur drammatiche. Ironia che traspare anche in molte delle sue interviste come quella in cui gli fu chiesto "Perché lei deve pubblicare libri?", "Perché – rispose – sono in giro da così tanto tempo che la maggior parte degli editori pensa che io sia morto!".