Le Grand Tour

Da Goethe a Stendhal, da Mozart a Oscar Wilde, sono tantissimi gli artisti, scrittori, intellettuali che in passato hanno visitato l’Italia per le sue straordinarie bellezze artistiche e naturali. Con grande ricchezza di notizie e curiosità, Franz Coriasco ripercorre la storia del Gran Tour in Mille Italie, Storie e soprese del Belpaese nel mondo (Città Nuova). Ne pubblichiamo qui un breve estratto.
Roma

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Anche se in passato molti stranieri conobbero l’Italia per que­stioni militari o commerciali, fu soprattutto la forza culturale e del papato a rappresentare, fin dal Medioevo, lo sfondo e l’attrattiva primaria sia per i “proto-turisti” d’Europa che per i tanti che ne intuivano la straordinaria potenza ispiratrice. Centurie di pellegri­ni, mercanti e artisti l’attraversarono a caccia di suggestioni e di maestri. Già alla fine del Quattrocento Albrecht Dürer andò a Ve­nezia per studiarne i capolavori e confrontarsi con i suoi ispiratori

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In effetti da tempo l’Italia era meta prediletta per gli europei desiderosi di arricchire il proprio bagaglio di conoscenze; come il giovane Mozart, che tra il 1769 e il 1793 vi soggiornò a lungo in diverse città, non solo per ammaliarne le platee, ma soprattutto per arricchirsi delle lezioni dei compositori e dei grandi interpreti della musica italiana dell’epoca. E se da un lato la patria del Belcanto in­fluenzò profondamente l’arte mozartiana, dall’altro la tipica estro­versione italica si sposò perfettamente con l’indole fanciullesca del genio salisburghese che, com’era usanza per tutti i musicisti d’Eu­ropa, parlava e scriveva correntemente l’italiano.

Fra i primi, o per lo meno fra i più celebri indagatori dell’Italia e dell’italianità, spiccano le penne di Goethe e di Stendhal. Nel suo celeberrimo Viaggio in Italia, il genio tedesco girovagò tra le bellezze del nostro Paese, da Trento, dove giunse nel settembre del 1786, fino alla Sicilia. Ne uscì un resoconto dettagliato e a tratti anche drammatico, giacché venne sospettato di spionaggio dalla polizia asburgica, taglieggiato dagli sbirri papalini, e rischiò anche un naufragio dalle parti di Capri. Un diario ricco di appunti non solo sui capolavori architettonici e gli splendori naturalistici che trapuntavano la Penisola, ma anche su usi e costumi dei vari luoghi visitati

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Geniacci a parte, furono soprattutto molti giovani rampolli della buona società europea a trasformare il viaggio in Italia in un passaggio quasi obbligato della loro formazione culturale. Era il cosiddetto Grand Tour che, fin dal XVII secolo, era la consuetudi­ne più attesa dai giovani aristocratici e dai più colti fra i borghesi d’Europa: un viaggio iniziatico che viveva il suo apogeo proprio in un’Italia ancora incontaminata dagli orrori della rivoluzione indu­striale, nella Roma dei papi e del barocco naturalmente, ma non solo. […] –

In epoche più recenti il Grand Tour è andato via via evolven­dosi, e tuttavia l’Italia continuò a costituirne una meta imprescindi­bile. Tanto più per gli intellettuali, sia europei che americani.

Furono soprattutto gli inglesi a subire il fascino dell’italian way of life, pur disprezzandone in patria, e spes­so anche con una certa protervia, gli eccessi e le deficienze. E se oggi il Chiantishire pare essersi trasformato in un nuovo Eldorado per stormi di albionici affamati di sole e di quiete, un tempo era­no soprattutto la nostra cultura e la nostra proverbiale esuberanza ad attirarli, quasi necessitassero di una via di fuga dai loro asettici aplomb. Molti di loro hanno lasciato da noi tracce importanti dei loro percorsi artistici ed esistenziali. Penso per esempio al londine­se Lord Byron e a Oscar Wilde.

Potremmo proseguire con molti altri, da Thomas Mann, che proprio qui gettò le basi de I Buddenbrook e qualche anno dopo concepì il celeberrimo La morte a Venezia, al pittore francese Bal­thus, spinto da Rilke ad abbeverarsi alle sempiterne fonti del Rina­scimento toscano. Se un grande critico d’arte come Bernand Beren­son restò stupefatto davanti a una delle tante eruzioni dell’Etna, la Garbo s’innamorò dell’aria romantica dell’ineguagliabile costiera amalfitana. Per non dire dell’amore di Dalì per il nostro Paese (vi lavorò perfino per alcune pubblicità televisive oltreché per il teatro e il cinema), o del Neruda esule a Capri, così teneramente descritto ne Il postino di Troisi. E tanti, tantissimi altri, che elessero l’Italia a buon retiro, a patria adottiva, a luogo di ristoro o di rifugio. Cia­scuno a modo suo, e tuttavia tutti in qualche modo innamorati di aromi e di caratteri, di panorami e di tesori unici al mondo.

Da MILLE ITALIE, Storie e sorprese del Belpaese nel mondo, di Franz Coriasco (Città Nuova)

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