Le fughe del cinema italiano

Tutti fuggono nelle pellicole in uscita del cinema nostrano. Da dove? Dal dolore, dal buio, dal non amore. È veramente uno sguardo insolito e interessante sul nostro Paese. Verso dove si fugge? Le mete finali sono diverse...
Pericle il Nero

Tutti fuggono nelle pellicole in uscita del cinema nostrano. Da dove? Dal dolore, dal buio, dal non amore. È veramente uno sguardo insolito e interessante sul nostro Paese, quello che era – o è ancora? – un Belpaese. Verso dove si fugge? Le mete finali sono diverse.

 

Ecco il caso di Pericle il nero, a Cannes nella sezione "Un certain regard": un film cupo, tenebroso, che Stefano Mordini ha tratto con libertà dal romanzo di Giuseppe Ferrandino. Non siamo a Napoli, ma nell’ambiente napoletano trasportato in Belgio, dove Pericle, per conto del boss don Luigi, sodomizza la gente sgradita a quest’uomo che è una sorta di patrigno. Il giovane è infatti uno “che non doveva nascere”, un reietto dalla società, una specie di animale in disperata ricerca di amore. Per un errore, colpisce Signorinella, parente di un boss con cui don Luigi cerca di rifare pace. Pericle deve fuggire. Inizia la vita del braccato, incontra una donna francese che lo accoglie e cerca ancora una via di fuga: definitiva, verso un'esistenza finalmente umana?

 

Notturno, con Pericle che sembra un animale – ma qui tutti vivono in un sottobosco psicologico – il film è doloroso, ottenebrato per il giovane senza nessuno, specchio di un mondo smarrito. Eppure una speranza tenue potrebbe farsi strada. Riccardo Scamarcio offre forse la sua migliore interpretazione, calando anima e corpo in quest’uomo felino e indifeso al contempo. Un melò intrigante e dall’odore di thriller, che, nonostante alcune debolezze di sceneggiatura – la storia d’amore con Anastasia (Marina Foïs) suona talora forzata – è un affresco spietato ma con punte commosse di un mondo ai margini, in fuga soprattutto da sé stesso.

 

Fuga  verso la Cina? E ci riuscirà Stefano, ragazzo di strada romano, solo, che lavora come buttafuori in una discoteca? Nessun amico, nessun parente. Conosce una ragazza cinese, se ne innamora: ma è la figlia di un boss… Si vis pacem para bellum: è il titolo del film che Stefano Calvagna interpreta e dirige, in uscita il 18 maggio. Ancora sangue, spari, ambienti notturni tutt’altro che chiari, scene di violenza e disperata voglia di amore. L’amore deve farsi strada in una società convulsa, malata, dove ogni uomo può esser un lupo per l’altro uomo: perciò per vivere bisogna essere sempre pronti all’attacco, a pagare anche con la vita. È interessante questo lavoro, ha ritmo, non scade nel becero o nell’ovvio pur essendo un genere ormai molto frequentato. Certo, sembra dire il regista, viviamo in una follia sociale collettiva. Ma l’amore potrebbe farsi strada, nonostante tutto.

 

E se i matti fossero quelli di fuori anziché quelli dentro al manicomio? Se lo chiede Paolo Virzì nel suo film, ora a Cannes – in uscita il 17 maggio – La pazza gioia. Due donne diversissime, una che crede di essere una contessa (Valeria Bruni Tedeschi) e una ragazza tatuata, fragile, silenziosa, con un segreto alle spalle (Micaela Ramazzotti). Le due diventano amiche e riescono a fuggire dalla comunità terapeutica a tentare di recuperare almeno un frammento di libertà.

 

Film corale – splendida la fotografia – si concentra ovviamente sulle due protagoniste (un autentico duello attoriale, con la Bruni Tedeschi iperfantasiosa e la Ramazzotti intrigante), ma non è una sorta di Thelma e Louise come qualcuno ha subito affermato. Il clima è diverso per psicologia, ritmo narrativo e soprattutto per il senso della storia, che è quello della ricerca dell’amore, più che della libertà, con tocchi umoristici e talora surreali. Forse troppo lungo, il lavoro è comunque piacevole, ben girato e, pur con i suoi moment scherzosi, tiene l’occhio fisso sulla fragilità umana, questa volta al femminile, molto più instabile di quello che si vuol far credere. Una sottile vis polemica contro un livello comportamentale attuale emerge qua e là, a dire che il limite tra normalità e follia è davvero precario, e forse a volte vale davvero la pena di fuggire, non importa verso dove. Forse verso la gioia, come dice con tocco leggero Virzì.

 

Al Pacino e Salomè. L’attore e regista rilegge il testo di Oscar Wilde. Il film – Wilde Salomè – è molto intrigante: Al Pacino gira il mondo tra Usa ed Europa, la macchina da presa lo segue anche dentro il camerino durante le prove del film-spettacolo teatrale. Due stili diversi, due piani di rappresentazione che si incrociano e si distanziano. Al Pacino capta il dietro le quinte con ansietà e senza pudore, dialoga con le difficoltà e le meschinità, le tensioni e le paure, pur le sue personali. Il film diventa così uno specchio di Al Pacino stesso, più che di Wilde, con la seducente Jessica Chastain nei panni della perversa Salomè. Per chi ama Al Pacino e la vita “interna” del mondo del cinema e del teatro.

 

Escono anche: l’horror The Boy, il commosso La sposa bambina della regista yemenita Khadija al-Salami (ribellione di una sposa bambina), l’intenso Money Monster con George Clooney e Julia Roberts, un thriller finanziario, per tutti.

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