Le foto darte di Ghergo
Andavano tutti da lui, a Roma, i personaggi del bel mondo. Artisti e nobili, soprattutto. Il tipo di bellezza dagli anni Trenta ai Cinquanta era sotto l’obiettivo di Ghergo, raffinatissimo pittore della fotografia.
Cultore della perfezione, si rifaceva a modelli come il Bronzino, i grandi ritratti cinque-secenteschi. Ma amava angolazioni caravaggesche da cui faceva risaltare, circondandole di un alone luminoso, figure algide e allo stesso tempo profondamente umane. Mai alla nostra portata, però. Non tanto e non solo perché si trattava di personaggi dell’alta società o del cinema che si atteggiavano volontariamente a immagini superiori e distaccate, quanto perché l’occhio di Arturo era puntato a una concezione si direbbe metafisica del ritratto.
Il maestro maceratese, scomparso a soli 58 anni nel 1959, aveva in sé qualcosa dell’anima marchigiana, quel misto di candore e di raffinatezza che la contraddistingue. Memorabile la serie di ritratti di Alida Valli: maliziosa, sportiva, seducente, angelica, tranquilla. Volti di una femminilità oggi introvabile eppure segno di un’aristocrazia reale che Ghergo rende però naturale, avvicinabile.
Fino a un certo punto. Perché le donne e gli uomini egli li avvolge di un chiarore che ricorda i ritratti del Tintoretto, circonfusi di luce trepidante. Maretta Agnelli in lungo abito da sera candido è un’icona di grazia carnosa su fondo chiaro, radiosa come l’ombra che la circonda. Un giovane Giulio Andreotti, così diverso da oggi, esprime una determinazione e un’ambizione a stento frenabili nelle labbra strette, chiuse e sottili come una cerniera: forse uno dei ritratti più indicativi della vera personalità dell’uomo. Diverso dalla sobrietà piemontese di Einaudi, dalla serenità virile di De Gasperi o dall’icona di Pio XII.
Sono le donne tuttavia le protagoniste della rassegna di oltre 250 foto. Isa Miranda, Mariella Lotti, Sophia Loren e Gina Lollobrigida – allora agli inizi di carriera, la brunetta e la “sciantosa” –, Silvana Mangano e la Pampanini… E poi la nobiltà romana dei principi, in famiglia, in coppia o da soli.
Sventagliate di una galleria fotografica dove ogni ritratto dal bianco e nero viene assunto a immagine destinata a durare nel tempo. C’è in questi personaggi l’albagia di quelli di Tiziano. Un altro tempo, un altro mondo. Ghergo si preparava, come un pittore, nel suo atelier dosando luci e ombre. Ne esce un’umanità che, nonostante la posa e l’alterigia, si rivela per quello che è a Ghergo, che non fa sconti alla verità. Si passa dalla chiarezza di Massimo Girotti agli uomini di casa Bulgari, da ragazzini a giovani, individuati nelle fasi della vita, dall’innocenza all’astuzia giovanile. Un esempio di come a Ghergo non sfuggisse l’anima dei suoi personaggi.
Certo un mondo non umile, ma anche artificiale, che crede però al proprio ruolo, come il fotografo-pittore che immortala i divi del suo tempo. Che noi guardiamo con cura e interesse. Icone di un mondo irreparabilmente perduto.
“Arturo Ghergo. Fotografie, 1930-59”. Roma, Palazzo delle Esposizioni. Fino all’8/7 (catalogo Silvana editoriale).