Le fiabe di Romagna

Un patrimonio di racconti popolari della tradizione orale torna alla luce e diventa una delle raccolte più grandi d'Europa. Da Città Nuova n. 2/2023

A San Pancrazio non si arriva per caso. Immerso nella fertile campagna ravennate, questo paese di duemila abitanti ha perso nei secoli la posizione strategica che aveva in passato, di cui tuttavia rimangono tracce importanti: prima fra tutte la pieve romanica costruita presumibilmente tra l’VIII e il IX sec d.C. Nei mesi più freddi dell’anno, quando i lavori dei campi si riducono e la terra stessa sembra dissolversi nella nebbia, si usava un tempo ritrovarsi la sera nelle stalle, il luogo più caldo della casa, a svolgere qualche piccolo lavoro domestico e, talora, ad ascoltare fiabe.

A questi trebbi serali c’era infatti la consuetudine di invitare persone del paese conosciute per la loro abilità nel narrare, chiamate fulér, in italiano folari: raccontatori di fole, ossia di favole. Ai “folari professionisti” si affiancavano altri narratori, ognuno con il proprio repertorio, tutti molto apprezzati.

Un giorno – siamo intorno agli anni ’90 – Ermanno Silvestroni, autore del libro Tradizioni e memorie di Romagna, confida a un giovane amico e coautore di avere nei propri cassetti dei manoscritti a cui prima d’allora non aveva prestato attenzione. Si tratta di alcune fiabe della tradizione orale di San Pancrazio raccolte a partire dagli anni ’20, quando era poco più che un bambino, dalla viva voce di figli, nipoti e conoscenti dei folari di una volta. L’amico, Eraldo Baldini, narratore e saggista, comprende al volo il valore di quel materiale. «Abituato alla sua modestia – racconterà più tardi – e avvezzo ormai a considerare i suoi cassetti come contenitori prodigiosi, non mi stupii quando potei verificare che quei testi, scritti in dialetto, erano molto lunghi, molto belli e ben narrati».

Silvestroni viene incoraggiato dall’amico a riprendere la ricerca coinvolgendo gli anziani del paese, molti dei quali suoi coetanei, ultimi depositari del patrimonio orale locale. Due anni dopo, la raccolta è terminata. La mole dei manoscritti, scritti sotto dettatura in dialetto romagnolo, è impressionante e potrebbe scoraggiare chiunque ma non Baldini che, con la collaborazione di Andrea Foschi, inizia e porta a termine, dal ’93 al ’99, l’imponente lavoro di trascrizione del dialetto e di traduzione in lingua italiana.

Si tratta di 133 testi originali, organizzati in 5 volumi per oltre duemila pagine, pubblicati nelle due lingue dall’editore Longo di Ravenna. Il “caso” travalica i confini nazionali e viene studiato anche all’estero per il suo valore nel campo dell’antropologia culturale, della linguistica e dell’etnologia. Oggi le Fiabe di Romagna, presenti a catalogo anche nella biblioteca del Congresso di Washington, costituiscono una delle raccolte di fiabe popolari più grandi d’Europa e vengono spesso associate dagli studiosi alle favole di Perrault o dei fratelli Grimm. Si spera in una loro riedizione, visto che alcuni volumi sono ormai esauriti.

“C’era una volta“… Come in molte fiabe più conosciute, anche in queste compaiono re e regine, principi e principesse, maghi e fate, draghi e orchi, animali parlanti e folletti. Ma i veri protagonisti sono persone semplici che sanno riscattarsi dalla miseria con la loro intelligenza e con quella grande sapienza che viene dalla vita: contadini, garzoni, fabbri, calzolai, maniscalchi. Così si esaltano ingegno, laboriosità, furbizia e buon cuore, dando speranza e sollievo a quanti ascoltavano. Le trame sono spesso complesse e, quando la storia sembra conclusa, un colpo di scena la prolunga introducendo sviluppi inaspettati… d’altronde si dovevano riempire le serate! Da notare che uno solo dei folari conosciuti, Giovanni Saporetti (1848-1936), sapeva leggere e scrivere. Le sue storie, particolarmente lunghe, portano a volte l’impronta di gesta cavalleresche e l’eco di cantastorie medioevali, in una interessante contaminazione fra narrativa popolare e narrativa più “nobile”, in uso nelle ville principesche dell’epoca.

L'aratro che vola (San Pancrazio di Romagna)
L’aratro che vola (San Pancrazio di Romagna)

Nel quarto volume dell’opera sono state incluse anche novelle e brevi racconti ironici, che spesso prendono di mira il clero e altri personaggi al tempo non particolarmente benvoluti in Romagna. Sono le storielle che si raccontavano non tanto nei trebbi invernali quanto piuttosto nei negozi dei barbieri o nelle osterie; qui gli elementi magici, soprannaturali e favolistici sembrano scomparire per dare spazio alle doti umane dei protagonisti e anche ai loro difetti, raccontati in chiave comico-satirica.

«La raccolta delle Fiabe di Romagna – scrive Elide Casali, storica e saggista dell’Università di Bologna – si configura come il fascinoso affresco di una comunità rurale, del suo modo di parlare, di mangiare, di vestirsi, della sua umanità, moralità e devozione».

Stupisce che un territorio apparentemente anonimo e geograficamente limitato abbia prodotto un numero così alto di fiabe, sebbene sia depositario di una cultura millenaria ricca di eventi e di cambiamenti. Che il cuore dei suoi abitanti sappia andare oltre il duro vivere quotidiano, per esplorare un altrove immaginario e mondi immateriali riccamente popolati, risulta evidente anche nel museo etnografico del paese: come si entra, lo sguardo viene attirato in alto, dove un aratro punta il timone verso il cielo. Testimone della sacralità con cui si viveva e si vive qui il lavoro dei campi, l’aratro che vola esprime, a ben vedere, l’essenza di un paese che conserva con cura le tracce del suo passato e sa guardare avanti con intraprendenza e fantasia, coltivando la preziosa arte del narrare, raccogliere, ascoltare.

—-

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

—-

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons