Le ferie vicino ai terremotati
Dal tragico giorno del sisma la presenza e l'apporto delle comunità dei Focolari accompagnano e sostengono tante persone. Anche in luglio e agosto.
La cella campanaria del campanile mostra profonde crepe, ma non sono stati fatti interventi di messa in sicurezza. Il frontone della facciata è ancora a terra, come se la scossa fosse appena arrivata. Resta inagibile l’interno della chiesa, posta proprio sulla strada, come buona parte delle abitazioni di Civita di Bagno. Qui non ci sono stati morti.
Certo, non è L’Aquila, da cui dista solo sette chilometri, né Onna, lontana cinque, l’abitato con la percentuale più alta di vittime per il sisma, dove stanno tirando su con rapidità case in legno sotto l’egida della Confindustria di Trento.
A Civita sono stati danneggiati uffici, negozi e abitazioni. Visibili le crepe, ma non a sufficienza da richiamare una sola telecamera. Altrettanto vale per Fossa, a sei chilometri, e così per Rovere, Rocca di Cambio, Rocca di Mezzo, sull’Altopiano delle Rocche, in direzione sud, verso Avezzano. Identica situazione anche verso sud-est, lungo la Piana dei Navelli, che collega L’Aquila a Bussi.
Così, senza nemmeno un morto o segni marcati di distruzione, numerosi paesi e borghi dell’aquilano non sono quasi mai stati nominati sui quotidiani, e immagini e scorci di quegli abitati non sono passati, nemmeno fugacemente, su qualche telegiornale. Ecco un paradosso del dopo terremoto.
Queste località stanno registrando, a mano a mano che ci si allontana dal giorno del sisma – precisa un volontario che fa comparazioni con altri centri abitati –, un grado minore di assistenza, di cura, di interventi e la conseguenza è che negli abitanti cresce la consapevolezza di un progressivo abbandono.
E proprio su questi paesi s’è concentrato, anche su indicazione del vescovo de L’Aquila, mons. Giuseppe Molinari, e del presidente della Regione, Gianni Chiodi, l’impegno delle comunità abruzzesi dei Focolari, da quelle più prossime ai luoghi del disastro sino a quelle sulla costa adriatica, avviando una costante spola tra i luoghi di residenza e le località “adottate”.
La tendopoli assolata
Una scuola della Puglia ha fatto sapere la propria disponibilità ad avviare un gemellaggio con un istituto del capoluogo colpito. «Diteci di cosa avete bisogno: quaderni? libri? materiale tecnico?». Niente di tutto questo, o perlomeno non è questo ciò che manca davvero. «Quello che la gente chiede, e più passa il tempo e più la necessità aumenta – ci fanno presente in modo concorde i responsabili di alcune tendopoli –, è la vicinanza di qualcuno che sappia condividere, che sia capace di ascoltare». Non servono montagne di beni, né un mare di parole.
Gli sfollati convivono con la loro tragedia, restano chiusi, spesso quasi in uno stato di isolamento. E tuttavia apprezzano la spontaneità di chi arriva alla loro tenda senza un programma organico d’intervento o di assistenza. Quelli già ci sono.
Nell’assolata tendopoli di piazza D’Armi, la più grande delle 170 allestite nell’area colpita, tutto funziona, tutto è pulito e in ordine. Climatizzatori in ogni tenda e coperture con teli ombreggianti per combattere un caldo intenso con cui è difficile convivere. Chi ha potuto, però, se n’è andato, tanto che la popolazione è passata da 2.500 di aprile a 1.060 di fine luglio.
Quanti sono rimasti, in gran parte anziani, non si aspettano di ricevere aiuti materiali. Non servono. Piuttosto attendono persone che testimonino un’umanità ricca quanto discreta, una serenità alla quale abbeverarsi per scacciare quel diffuso senso di insoddisfazione, quella noia di una vita ripetitiva regolata da altri che corrode la voglia di futuro e fa scivolare in uno stato di depressione che purtroppo talora – come ci dicono – ha portato al suicidio.
Dare manforte
Gli abruzzesi aderenti ai Focolari hanno scelto soprattutto questa via informale, discreta e apprezzata dalle popolazioni colpite.
A L’Aquila l’impegno è particolarmente intenso, perché si tratta di dare manforte ai propri concittadini, di incoraggiarli nei propositi di ricominciare, di dar loro speranza in un progetto di vita restando in città.
«Chissà quando riapriremo. Forse tra tre o quattro anni», azzarda una sconsolante previsione il titolare dell’Ottica Genitti, che sta portando via le ultime cose dal negozio, situato su corso Federico II, a due passi dalla galleria di tubi metallici e travi di legno che sostengono edifici pericolanti di qua e di là dalla strada.
La via è stata riaperta alla gente ad inizio luglio. Conduce in piazza Duomo, dove sospesi su una piattaforma a venti metri dal suolo tre vigili stanno proseguendo, nella chiesa di Santa Maria del Suffragio, il lavoro di consolidamento di una parte del tamburo, gravemente lesionato dopo il crollo della cupola. Bambini e adulti scattano foto a quegli eroi, poi costeggiando i negozi si fermano davanti alle scritte poste sulle vetrine. «Lavori in corso, attività in forse», hanno vergato a mano i gestori.
Sulla costa
Anche sulla costa adriatica c’è bisogno di vicinanza e di condivisione. A Giulianova e a Tortoreto, ad esempio, i terremotati presenti negli alberghi sono stati seguiti dal giorno del sisma in questa irreale condizione di ospiti per necessità. Con l’arrivo del periodo di vacanze, un buon numero è stato trasferito in hotel di montagna, ma non per questo i rapporti instaurati sono venuti meno. Sia per chi è partito, sia per chi è rimasto, quella trama di rapporti semplici e autentici resta vitale.
Anche chi ha ricevuto la visita festosa e puntuale durante la degenza in ospedale continua a beneficiare ancora, pur rimesso in salute, di incontri con quelle persone che fanno bene al fisico e all’anima.
Artefice di un’iniziativa singolare è stata una comunità parrocchiale di Notaresco, 65 chilometri a est de L’Aquila. Ha ospitato alcune famiglie sfollate che dentro una tenda non ci stavano: sono quei bei nuclei numerosi con figli piccoli e grandi. I legami stabiliti al loro arrivo nella cittadina sono rimasti vivi e continuano ad essere alimentati da scambi di visite.
Ad Atri, paese d’origine di tre studenti universitari morti a L’Aquila, è stata organizzata, il 6 luglio scorso, una serata in loro memoria. Il concerto del Gen Rosso è stato l’apice di una serata in cui il dolore collettivo s’è aperto ad una maggiore speranza.
Amici sotto i tetti di stoffe
Il caldo sta mettendo a dura prova gli sfollati. A Bazzano e a Sant’Elia, alle porte de L’Aquila, procedono i lavori, a ritmo continuo, di costruzione di edifici con pannelli di cemento armato o strutture metalliche poggiati su speciali piattaforme capaci di fungere da ammortizzatori. «Andranno bene per il dopo estate – osserva un anziano della tendopoli di Onna –, ma non ci aiutano adesso». La maggioranza degli sfollati è costretta a restare sotto i tetti di stoffa e allora la visita di persone divenute amiche e, talora, confidenti è ancora più attesa e gradita.
Nel periodo delle vacanze la presenza dei Focolari s’è fatta più attenta e numerosa. Le ferie costituiscono un’opportunità unica per evitare che si insinui nei terremotati il sospetto dell’abbandono.
A scongiurare questa percezione si stanno adoperando anche i giovani abruzzesi dei Focolari, che, tra il resto, stanno allestendo, coordinati dalla Caritas nazionale, l’arrivo di un numero contingentato di coetanei da tutta Italia (venti alla settimana per l’intero mese di agosto) che svolgeranno servizio nella zona est de L’Aquila.
Paolo Lòriga
Un violino di speranza
Quando l’ing. Maria Vincenza Saccone, dell’ufficio relazioni esterne del comando generale dei vigili del fuoco di stanza a L’Aquila, è venuta a conoscenza della richiesta ha permesso che si realizzasse un sogno ritenuto impossibile: quello di rilasciare il permesso per accedere alla “zona rossa”, l’area ad alto rischio nel martoriato centro del capoluogo, interdetto a tutti ad eccezione dei pompieri. Ma non si è limitata a questo e con stile ha chiesto di sponsorizzare l’iniziativa, che possedeva un notevole valore simbolico, di grande speranza e di forte impatto per gli aquilani.
L’inattesa disponibilità è stata accolta con stupore dalla famiglia Parafita e dagli studenti trevigiani. Finalmente potevano accedere a Via Rocca di Corno, 49.
Perché proprio lì? Semplice. Romina, Maria Emilia e Manuel, argentini residenti a Termoli (Campobasso), lì abitavano in affitto sino al 6 aprile scorso, perché studenti, rispettivamente di Ingegneria chimica, Psicologia e Fisioterapia. L’appartamento era un attico al quarto piano, prospiciente la casa dello studente, poi crollata. Manuel s’è salvato perché era a studiare da amici appena fuori città, mentre il suo letto è stato schiacciato dalla parete venuta giù con la fatale scossa delle 3,32. Le sorelle sono rimaste intrappolate sotto le macerie, ma le travi del tetto le hanno protette e le indicazione del fratello ai primi soccorritori hanno consentito di estrarle rapidamente.
Qualche giorno dopo, entrando dal terrazzo tramite un autogrù e l’ausilio dei vigili del fuoco, Manuel riesce a recuperare un po’ di vestiario, il portatile di Romina (con il testo della tesi), un po’ di libri. Prima di ridiscendere espone una richiesta pazza: cercare il suo violino. Dopo un’ora di lavoro, i vigili lo individuano e lo recuperano. La custodia è ricoperta di fango. Il ragazzo la apre, il violino è intatto. Dall’alto grida la sua gioia a quelli in strada.
Con quel violino Manuel suonerà al recital TimoTheo, vocazione di una città a Termoli, l’11 maggio, che riscuoterà un successo di pubblico e di critica. Una serata di speranza, simboleggiata da quel violino.
I tre studenti hanno ripreso gli studi, ma mancano di tutto quello che, rimasto nella casa, è ormai irrecuperabile. Ed ecco che inaspettatamente arriva alla comunità dei Focolari di Pescara una telefonata da Treviso. Il prof. Giuseppe Provenzale, coordinatore di “Rete Progetto Pace” tra docenti e studenti di varie scuole, chiede di individuare a chi consegnare tre borse di studio, i cui fondi sono stati raccolti dagli istituti “Scarpa” di Oderzo e Motta di Livenza, “Da Vinci” di Treviso, “Verdi” di Valdobbiadene. Scegliere i tre Parafita non è stato difficile.
E così eccoci a giovedì 18 giugno. Sotto la casa pericolante la delegazione di sette studenti e tre professori del Veneto consegna i 2.950 euro raccolti a Maria Emilia e Manuel, contornati da alcuni vigili. Manca Romina, ad Avezzano per sostenere un esame. Scriverà a quei ragazzi: «Purtroppo ieri non ho avuto il piacere di conoscervi. Non mi aspettavo tanta solidarietà! È incredibile come un’esperienza che provoca tanto dolore ti faccia avvicinare così tanto alle persone. È incredibile come la sofferenza a volte si trasformi in amore e lasci il posto solo a cose belle. Con il vostro aiuto arriveremo più facilmente a realizzare il nostro sogno, che adesso è quello di finire gli studi».
Umbro Meloni