Contro le fake news, il pane buono della verità
I giornalisti siano umili, coraggiosi, senza pregiudizi. Siano soprattutto liberi. E nell’era delle fake news hanno il dovere della verità. Parole forti, quelle pronunciate da papa Francesco che nei giorni scorsi ha ricevuto in udienza, nella Sala Clementina, i giornalisti della stampa estera in Italia.
Per il papa i giornalisti hanno il dovere di costruire, di essere strumento di dialogo e di confronto. Il pontefice indica una strada: «Operare secondo verità e giustizia, affinché la comunicazione sia davvero strumento per costruire, non per distruggere; per incontrarsi, non per scontrarsi; per dialogare, non per monologare; per orientare, non per disorientare; per capirsi, non per fraintendersi; per camminare in pace, non per seminare odio; per dare voce a chi non ha voce, non per fare da megafono a chi urla più forte. I mass media tendono a farci svolgere un ruolo di spettatori, di fronte al male che viene raccontato in maniera crescente, con uno sguardo distaccato e di assuefazione, come se ciò che viene raccontato non dovesse riguardarci e ci limitiamo a guardarlo dall’esterno».
Una dote: l’umiltà. Una “parolina” che sembra lontana dall’orizzonte del giornalista. Francesco conosce bene quel mondo, sa quali siano le priorità di una redazione, di un lavoro spesso condotto sul filo di lana, in agguato della notizia, con il timore di non fare in tempo o che qualcosa di importante sfugga. Conosce i ritmi spesso asfissianti, che non lasciano spazio per l’approfondimento, la verifica, l’analisi completa. Conosce le regole delle notizie gridate, dei titoli sensazionalistici.
Francesco sa «quanto sia difficile e quanta umiltà richieda la ricerca della verità. E quanto sia più facile non farsi troppe domande, accontentarsi delle prime risposte, semplificare, rimanere alla superficie, all’apparenza; accontentarsi di soluzioni scontate, che non conoscono la fatica di un’indagine capace di rappresentare la complessità della vita reale. L’umiltà del non sapere tutto prima è ciò che muove la ricerca. La presunzione di sapere già tutto è ciò che la blocca».
E aggiunge: «Il giornalista umile e libero cerca di raccontare il bene, anche se più spesso è il male a fare notizia (…). In un tempo in cui molti diffondono fake news, l’umiltà ti impedisce di smerciare il cibo avariato della disinformazione e ti invita ad offrire il pane buono della verità».
Lo sguardo del pontefice si posa sulle difficili realtà attuali, sulle tante guerre dimenticate, sulle sofferenze dei popoli perseguitati, sui morti del Mediterraneo. Certe realtà rischiano di restare lontane dalle redazioni, dimenticate dopo anni, o confinate in un trafiletto.
«Abbiamo bisogno di giornalisti che stiano dalla parte delle vittime, dalla parte di chi è perseguitato, dalla parte di chi è escluso, scartato, discriminato. C’è bisogno di voi e del vostro lavoro per essere aiutati a non dimenticare tante situazioni di sofferenza, che spesso non hanno la luce dei riflettori, oppure ce l’hanno per un momento e poi ritornano nel buio dell’indifferenza»
Il papa non vuole sentire parlare di “guerre dimenticate”, un termine oggi usato tanto spesso. Troppo spesso. «Ma quali guerre dimenticate? Quelle guerre che ancora sono in corso, ma di cui la gente si dimentica, non sono all’ordine del giorno nei giornali, nei media. State attenti: non dimenticare la realtà, perché adesso “è passato il colpo”. No, la realtà continua, continuiamo noi. In concreto, le guerre dimenticate dalla società, ma che sono in corso ancora».
I giornali ed i giornalisti non devono dimenticare e possono aiutare a non dimenticare «le vite che vengono soffocate prima ancora di nascere; quelle che, appena nate, vengono spente dalla fame, dagli stenti, dalla mancanza di cure, dalle guerre; le vite dei bambini-soldato, le vite dei bambini violati. Ci aiutate a non dimenticare tante donne e uomini perseguitati per la loro fede o la loro etnia. Mi permetto una domanda: chi parla oggi dei Rohingya? Chi parla oggi dei Yazidi? Sono dimenticati e continuano a soffrire». E poi i migranti: «Non bisogna dimenticare questo Mediterraneo che si sta trasformando in cimitero».
Si dice spesso che il giornalismo è la storia di ogni giorno. Il giornalista è colui che racconta ciò che accade quotidianamente. Francesco lo sa bene. Forse, anzi certamente, più di quanto lo sappiamo noi cronisti. Nelle sue parole il lavoro dei giornalisti sale di qualità, si erge su uno scalino superiore. Indica una via, che oggi è sempre più ardua da percorrere. Una via alta. «Vi prego, continuate a raccontare anche quella parte della realtà che grazie a Dio è ancora la più diffusa: la realtà di chi non si arrende all’indifferenza, di chi non fugge davanti all’ingiustizia, ma costruisce con pazienza nel silenzio. C’è un oceano sommerso di bene che merita di essere conosciuto e che dà forza alla nostra speranza (…).Vi invito a essere uno specchio che sa riflettere speranza, seminare speranza. E vi auguro di essere donne e uomini umili e liberi, che sono quelli che lasciano una buona impronta nella storia».