Le elezioni viste dalla Polonia
La Polonia è sulla cresta di un’onda positiva che dura da più di 30 anni. Dal 1988, quando fu emanata la prima legge sulla libertà economica, questo Paese in bilico tra l’Europa occidentale ed orientale ha conosciuto uno sviluppo secondo solo ai Paesi asiatici. Guardandola da Wroclaw, in italiano Breslavia, la nazione di Giovanni Paolo II si presenta come uno Stato moderno e ricco di opportunità, che ha saputo sfruttare al meglio la globalizzazione. Ha aderito alla Nato dal 1999 ed è entrata a fare parte dell’Unione europea nel 2004, ma senza aver ancora adottato l’euro. Una questione aperta e causa di tensione tra il governo polacco e la Commissione europea. Bruxelles ha minacciato Varsavia di attivare l’articolo 7 del trattato sull’Unione europea, che prevede pesanti sanzioni al Paese colpevole di violazioni dei principi fondanti l’Unione, per la riforma giudiziaria di qualche anno fa.
La vera partita è però sul piano economico: la Polonia sta sfruttando i vantaggi dello spazio economico europeo, il più grande mercato al mondo, e sta beneficiando dei fondi di coesione europei, mantenendo allo stesso tempo il privilegio di avere una moneta nazionale e di non sottostare ai vincoli di bilancio comunitari. Un fatto che causa i mal di pancia di altri Stati che non hanno potuto ricorrere a questi privilegi e che le hanno permesso di ammortizzare gli shock macroeconomici esterni e un prodotto interno lordo in crescita anche negli anni in cui l’Italia e altri Paesi europei hanno conosciuto la recessione più dura. Difficile biasimare il governo polacco finché l’Eurozona non si doterà di strumenti efficaci di politica monetaria e fiscale per ammortizzare gli shock macroeconomici.
D’altra parte la Polonia soffre una arretratezza nel campo educativo ed universitario, testimoniata dalla presenza di sole due università polacche nella classifica stilata dalla Shanghai Ranking Consultancy, piazzate tra il 300° e il 500° posto. Il problema non risiede solo nella difficoltà di innovazione, ma nel rischio di incapacità di implementare le tecnologie importate dall’estero. Forse per questo non è raro imbattersi in giovani stranieri che lavorano nelle multinazionali che si sono insediate nelle grandi città e che sono alla ricerca di lavoratori qualificati. Durante la campagna per la Brexit è stato usato lo stereotipo dell’idraulico polacco che avrebbe invaso il Regno Unito: la realtà è che Wroclaw ha il 16% della popolazione residente straniera alla ricerca delle opportunità che offre questa terra. Però rimane il sospetto che il benessere che si percepisce nelle grandi città, e che attira lavoratori dal resto del mondo, non sia diffuso in modo uniforme in tutto il Paese.
Secondo Limes, rivista italiana di geopolitica, è questa disuguaglianza che ha portato all’affermazione del partito Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość), premiandolo nelle zone meno industrializzate del Paese e che stanno godendo meno dei benefici della transizione iniziata con la caduta del Muro di Berlino. Tra le promesse del partito conservatore vi era una riforma del fisco più equa che si è concretizzata in una tassazione dei redditi a due aliquote, 19% e 32%, e una detrazione delle tasse per redditi più bassi, la quale si annulla a circa 30 mila euro di reddito l’anno. Una riforma che ha reso il fisco più progressivo, e quindi più equo, ma secondo alcuni non ha risolto il problema di una tassazione iniqua, dove i ricchi contribuiscono ancora troppo poco. Prendendo i dati del report Taxation Trends in the European Union, redatto dalla Commissione europea, la tassazione diretta contribuisce per circa 30 miliardi di euro mentre la tassazione indiretta, considerata iniqua perché colpisce il povero nella stessa misura del ricco, contribuisce con circa 58 miliardi al bilancio statale. Un sistema fiscale quindi poco equo, che inasprisce le disuguaglianze, secondo alcuni, ma è fattuale che l’Indice di Gini è in calo, nel decennio 2006-2016, e dimostra una redistribuzione della ricchezza in atto.
L’economia va bene: il tasso di disoccupazione è quasi la metà del tasso di disoccupazione medio in Europa mentre il Pil ha una percentuale di crescita doppia rispetto alla media Ue. Il governo di destra, ha attuato politiche sociali mai viste in Polonia. Sono state introdotti sussidi alle neomamme ed è stato programmato un piano di edilizia sociale. Senza i fondi europei, equivalenti al 60% degli investimenti pubblici nel periodo 2014-2020, gli investimenti sociali non sarebbero stati possibili a meno che il Paese non avesse alzato la tassazione sui redditi o rinunciato agli investimenti infrastrutturali che lo hanno portato, ad esempio, a raddoppiare la rete autostradale. Rimane il problema-opportunità dei salari: è un problema per le persone che guadagnano il minimo salariale legale di 3,2€ l’ora ma per le imprese rimane un punto di forza. Sarà difficile aumentarlo con una manodopera ucraina alle porte che scappa da situazioni di povertà atavica.
Le elezioni polacche per il rinnovo del Parlamento europeo molto probabilmente premieranno il partito Diritto e Giustizia, che senza esitazione benedice la Nato come pilastro per la difesa nazionale ed esclude una maggiore integrazione europea, anche se è impossibile ad oggi valutare l’impatto di elementi diversi, come l’uscita del film sugli abusi sessuali commessi o coperti dai prelati polacchi, così come è impossibile determinare anche quanto inciderà il disorientamento e la confusione della “Koalicja Europejska”, coalizione nata per le elezioni europee da quattro diverse anime accomunate solo da uno spirito europeista: i liberali di “Piattaforma civica” di Donald Tusk, il partito cristiano-popolare “dei contadini polacchi”, i partiti di sinistra e ambientalisti.