Contro le elezioni? La suggestione di Pericle
Dopo l’abbuffata del referendum, con lo stomaco ancora sottosopra, forse un po’ di dieta non guasta prima della prossima tornata elettorale. E allora niente di meglio di una lettura provocatoria che metta in discussione uno dei fondamenti della nostra democrazia: le elezioni.
Apparso in Italia un anno fa, il libro del belga David Reybrouck “Contro le elezioni – perché votare non è più democratico” offre lo spunto per una riflessione sull’esperienza democratica nelle sue molteplici forme e varianti, dalla tecnocrazia alla democrazia diretta passando per il populismo.
L’autore affronta in modo non convenzionale tanto la diagnosi quanto la terapia delle evidenti patologie della democrazia contemporanea. Nel solco dei tentativi di innovazione avanzati dalla “democrazia deliberativa”, fra le varie proposte, indica l’introduzione del sorteggio accanto al tradizionale sistema elettivo.
Questo strumento utilizzato fin dalle origini della democrazia, nella Grecia di Pericle del quinto secolo, trova ancora oggi applicazione nella selezione delle giurie popolari in ambito giudiziario. Prima di valutarne i possibili vantaggi cerchiamo di collocarlo nel contesto delle istituzioni democratiche presenti.
Fra i diversi fattori che incidono sulla talvolta frustrante esperienza democratica, ve ne sono alcuni sui quali fatichiamo a trovare le giuste dosi.
Il primo è la competenza. Riguarda gli elettori, la loro capacità di valutazione dei candidati, del programma proposto e delle politiche realizzate in base a dati e effetti sulla vita delle persone e della comunità – locale, regionale, nazionale – nel suo complesso.
Competenza cruciale per la classe politica, quando è chiamata a legiferare e ad amministrare. Come spesso mostrano le difficoltà dei nuovi entranti, il mestiere del politico è complesso e richiede competenze che non si possono improvvisare ma che si acquisiscono dopo un adeguato apprendistato non solo in contesti politici, ma anche sociali, associativi, etc.
Il secondo fattore è la rappresentanza, la cui selezione sconta l’attrattività di soggetti che guardano più alle generose retribuzioni e benefit (per sé e/o per i propri gruppi di interesse) piuttosto che ad uno spirito di servizio. È un meccanismo che gli economisti chiamano “selezione avversa”. Ci sono poi barriere all’ingresso dovute tanto ai costi di promozione quanto alla necessaria intermediazione dei partiti. L’effetto complessivo è che gli attuali rappresentanti non sono sempre rappresentativi della società.
Il terzo fattore, fortemente correlato ai precedenti, è il sistema delle decisioni. Il bisogno di consenso per farsi eleggere porta a esercitare il ruolo politico in base agli interessi del proprio bacino elettorale, e non in base all’effettiva utilità delle decisioni per la gran parte dei cittadini. Inoltre il sistema competitivo che caratterizza la vita politica, premia i singoli protagonismi e personalismi più che i risultati dell’azione politica e la capacità di accordo tra le parti.
Il sorteggio può realizzarsi con modalità diverse in relazione a composizione, dimensione, frequenza rotazione e retribuzione del gruppo sorteggiato. Tale processo, abbinato a tecniche della democrazia deliberativa – ovvero sistemi di accordo basati sull’argomentazione fondata oggettivamente e non sul voto – potrebbe ridisegnare incentivi e funzionamento delle istituzioni democratiche. Accanto alle tradizionali istituzioni elettive potremmo avere istituzioni con cittadini sorteggiati.
Accanto alle inevitabili perplessità che una proposta così ardita potrebbe suscitare, se ne possono intravvedere alcuni possibili vantaggi.
Come dimostrano le numerose esperienze deliberative, i cittadini discutendo liberamente possono acquisire competenze sulle questioni comuni, attraverso un percorso orientato a capire le ragioni degli altri e a sostenere le proprie in modo argomentato e non ideologico. Quando non si pongono obiettivi di consenso è possibile esplorare soluzioni più ampie, innovative, talora coraggiose. Con il sorteggio si amplia la platea di possibili partecipanti alla discussione, abbattendo le barriere di ingresso alle istituzioni.
A livello istituzionale, specializzando e differenziando assemblee elette e assemblee sorteggiate, si potrebbero creare pesi e contrappesi per garantire da un lato le competenze adeguate laddove serve la tecnica politico-amministrativa, dall’altro una maggiore rappresentatività popolare negli indirizzi delle politiche e nella loro valutazione di efficacia.
Viviamo in un mondo complesso, e i tentativi di dare risposte semplici (come un uomo solo al comando) non sembrano avere molta efficacia. Forse domande complesse richiedono risposte complesse, e alla ricchezza e varietà delle nostre società può servire un’altrettanta ricchezza istituzionale.