Le elezioni in Iran premiano Rohani

La consultazione elettorale ha visto recarsi alle urne solo il 60 per cento degli elettori, gli astenuti hanno voluto dichiarare la loro contrarietà al bipolarismo tra i cosiddetti moderati e i conservatori. C’è attesa per i risultati sia nel mondo occidentale che in quello musulmano
Hasan Rohani

Le elezioni che si sono svolte in questi giorni in Iran sono state e continuano ad essere al centro dell’interesse della stampa e degli esperti a livello internazionale. Come molti fanno notare, si tratta del primo esercizio elettorale dopo la fine delle sanzioni imposte a Teheran dai Paesi occidentali e, allo stesso tempo, costituiscono una verifica per la politica di moderata apertura adottata dal premier Hassan Rohani in questi quasi tre anni dopo la sua elezione a presidente. Ma l’esercizio elettorale iraniano non rappresenta solo una verifica, può anche offrire una chiave di lettura per capire dove questo Iran potrebbe andare.

 

Gli elettori, infatti, sono stati chiamati a votare sia per il Parlamento che per l’Assemblea degli Esperti, organo di importanza vitale nel Paese. Il Parlamento – l’Assemblea consultiva islamica (Majles) -è preposto a redigere le leggi, compito condiviso però con il Consiglio dei Guardiani, composto da giuristi, che devono assicurare che l’attività parlamentare resti conforme alla legge islamica. Sebbene il giudizio finale sulle leggi discusse ed approvate dal Parlamento sia del Consiglio dei Guardiani, il parlamento iraniano resta un’istituzione importante come luogo del dibattito politico. In questi anni di governo del presidente Rouhani, il Majles, che presentava una maggioranza conservatrice, con una buona presenza di radicali, ha spesso chiaramente osteggiato la politica dell’amministrazione del presidente, definita come “moderata”. Inoltre, come detto, dalle elezioni emergerà anche la nuova Assemblea degli Esperti, un organo formato da 88 persone, che restano in carica per 8 anni. Saranno loro che dovranno eleggere, fra i membri dell’Assemblea, la Guida Suprema dell’Iran in caso che l’attuale leader, Alì Khamenei, muoia o si dimetta.

 

L’affluenza alle urne, come hanno ampiamente mostrato i media, è stata notevole – circa il 60% degli aventi diritto al voto – con code lunghe di cittadini che hanno atteso pazientemente il loro turno. Non si deve, però, dimenticare che, fin dall’inizio, si sapeva che una buona fetta dei cittadini non si sarebbe recata ai seggi per esercitare il proprio diritto al voto. Si tratta, per la maggior parte, di fette dell’elettorato che non si identifica con i poli principali della Repubblica Islamica. Per questi iraniani andare al voto avrebbe significato legittimare un sistema in cui non credono. A fronte della notevole affluenza, quindi, non può essere ignorato il fatto che il 40% dei cittadini non hanno ritenuto opportuno o non hanno potuto esprimere il loro parere politico. Non è un fatto trascurabile.

 

In attesa dei risultati definitivi che probabilmente verranno annunciati martedì prossimo, le prime proiezioni privilegiano i riformisti e moderati, soprattutto per quanto riguarda proprio l’Assemblea degli Esperti. Nel collegio elettorale di Teheran, infatti, tutti i primi posti sono occupati da rappresentanti di questo gruppo, denominato la Lista della speranza. Anche per quanto riguarda il Parlamento i riformisti hanno un chiaro vantaggio. Il Ministero degli Interni ha, intanto, comunicato che il riformista Mohammed Reza Aref, ex candidato alla presidenza e ministro, attuale primo vice presidente, "sulla base dei voti conteggiati guida la lista dei neo-eletti, e, dopo di lui, seguono altri cinque riformisti". Il primo dei cosiddetti conservatori/estremisti, al decimo posto, è Ahmad Janati, presidente del Consiglio dei Guardiani, l'organismo che controlla il Parlamento e il voto.

Gli sviluppi delle elezioni del Parlamento e dell'Assemblea degli espertisono seguite con grande interesse da tutti gli osservatori e, in genere, da tutte le capitali occidentali. E’, tuttavia, bene tenere conto di alcuni elementi. Innanzi tutto, come ha affermato in una analisi attenta lo studioso iraniano Pejman Abdolmohammadidella London School of Economics, i risultati che emergeranno da questo esercizio elettorale restano importanti, senza essere, tuttavia, determinanti. Infatti, sottolinea Abdolmohammadi in uno studio pubblicato dall’ISPI, il clima all'interno del Paese resta abbastanza confuso. Alla vigilia dell’andata alle urne si sono fronteggiati due grossi gruppi. Da un lato, pragmatisti e riformisti, supportati dall'ex presidente Hashemi Rafsanjani e dall'attuale presidente Hassan Rouhani,  hanno invitato a tutti a recarsi a votare, nonostante buona parte dei loro candidati fossero stati rifiutati dal Consiglio dei Guardiani (organo responsabile per la pre-selezione dei candidati). La loro intenzione era quella di ottenere i voti necessari per avere almeno una presenza in Parlamento, sia pure minoritaria.

 

L’altro polo, il fronte conservatore, spalleggiato dalla Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, e dai Guardiani della Rivoluzione, resta rappresentato dai conservatori sostenuti dal clero più intransigente e dai Pasdaran. Questo gruppo che gode del benestare del Consiglio dei Guardiani, godeva, di fatto, di un vantaggio potendo contare su più candidati presenti nell'arena elettorale, che avrebbero assicurato la maggioranza in parlamento e, l’esercizio di una influenza decisiva all'interno dell'Assemblea degli esperti. In questo confronto politico interno, il ruolo dei riformisti resta abbastanza marginale: la vera partita si gioca tra l'asse Rouhani-Rafsanjani e quello Khamenei-Pasdaran.

 

Queste elezioni dovranno aiutare a capire come si stanno spostando questi equilibri e cosa questo significherà per l’Iran non solo al suo interno, ma soprattutto nei suoi rapporti a livello internazionale sia nei confronti dell’occidente, verso il quale il presidente Rouhani ha tentato una apertura attenta e monitorata, sia nel contesto del mondo musulmano, dove il Paese gioca un ruolo fondamentale negli equilibri precari con Arabia Saudita e Turchia.

 

Quanto sta emergendo in queste prime ore di spoglio dei voti è una chiara virata verso l’area Rouhani-Rafsanjani. Se questo fosse il risultato finale sia all’interno del Parlamento che dell’Assemblea degli Esperti, Rouhani avrebbe un maggiore libertà nella sua linea politica. Tuttavia, si tratta di un mondo e di meccanismi complessi che sfuggono a chi non li conosce profondamente e dall’interno. A fronte degli inevitabili commenti, analisi e riflessioni conviene mantenere un atteggiamento di attesa per vedere cosa di fatto emergerà da queste elezioni.

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