Le donne, sorelle e amiche, della coreografa Leïla Ka
Quelle 5 donne in scena cambiano almeno 40 vestiti durante tutto lo spettacolo. C’è una sequenza in cui se li sfilano uno dopo l’altro svestendosi dalla catasta di gonne che indossano; un’altra in cui li appendono a delle grucce che si alzano sospese; poi sventolandoli per colpire e sfidare, o per passerelle sensuali; usati come stendardi, spazzoloni per pulire a terra, copricapo, burqa, o per balli sociali. Sono abiti femminili di diversi stili, colori, epoche, che sembrano dirci anche una condizione sociale, un tempo della vita, e lo stato d’animo mutevole di quelle donne. Energiche, combattive, ma anche fragili, romantiche, emancipate o sottomesse, sciatte o seduttive. Sono loro le protagoniste del travolgente spettacolo Maldonne della giovane coreografa Leïla Ka. Una carriera d’autrice velocissima, apertasi dall’incontro con Maguy Marin che l’ha voluta nel suo intramontabile capolavoro May B, e da lì ha preso il volo.
La 33enne francese Ka ‒ oggi richiestissima ovunque con questo spettacolo ‒ è presto salita alla ribalta col folgorante assolo Pode Ser, del 2018, seguìto dal duetto C’est toi qu’on adore, e da un altro premiato assolo Se faire la belle del 2022. Maldonne, del 2023, è la sua prima coreografia corale, creazione che l’ha definitivamente lanciata nella scena teatrale europea. L’universo muliebre di questo variegato, divertente e commovente affresco di danza, ci ricorda in alcuni momenti la teatralità di Emma Dante (il pensiero va alle Sorelle Macaluso), e in altri, nell’uso delle braccia e nella gestualità del quotidiano, le ben stagliate donne danzanti di Pina Bausch.
Le 5 sorelle di Maldonne (in francese “errore di distribuzione delle carte da gioco”) sono quelle della biografia di Leïla Ka – in scena insieme a Océane Crouzier, Jennifer Dubreuil Houthemann, Jane Fournier Dumet, e Jade Logmo ‒, che così racconta, con una scrittura coreografica rigorosa e vibrante, il loro rapporto e le storie vissute, ricreando quelle dinamiche universali di donne che, quasi sull’orlo di una crisi di nervi, riscattano i luoghi comuni e i pregiudizi sulle molteplici identità del femminile e le sue contraddizioni. Tra continui ondulamenti, tic, frantumazioni, accelerazioni e momenti di immobilità, ritroviamo, posture e gesti che evocano scene di ordinaria follia, di pudore, rivolta, litigi, allegrezza, rabbia, complicità, orgoglio e resistenza, emancipazione e bellezza, amicizia e solidarietà.
Una coralità esemplare che inizia a testa china nel silenzio assoluto, nel lento loop di movimenti di viso e braccia, infranto successivamente dal respiro all’unisono e ritmato cadenzando gesti e posture ripetuti, poi sempre più articolati ed esplosivi. Si passa, con continui blackout e cambi d’abito, dalle note di un valzer di Dmitri Shostakovich alla canzone Je suis malade di Serge Lama con la voce di Lara Fabian, vocalizzata con ironica passione dal labiale dalle donne; da Dance Me to the End of Love di Leonard Cohen alle Quattro stagioni di Vivaldi. Tutto, seguendo una drammaturgia chiara, espressiva, che rimescola le carte dei rituali fisici, culminante nelle sonorità techno di Mathame, quando le 5 interpreti, smessi tutti gli abiti che le avevano finora definite, si scatenano in una danza che sembra affermare un manifesto liberatorio di tutte le donne.
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