Le donne contano, ma non sono numeri
All’inizio di aprile la Regione Sicilia ha approvato una legge in materia elettorale, Norme in materia di rappresentanza e doppia preferenza di genere. Maggioranza e opposizione (con voto contrario del Movimento 5 Stelle) hanno approvato un testo che stabilisce come può essere espresso il voto nelle elezioni del consiglio comunale. Il testo dice, tra il resto, che: «Ciascun elettore può esprimere inoltre sino ad un massimo di due voti di preferenza per candidati della lista da lui votata, scrivendone il nome ed il cognome o solo quest’ultimo sulle apposite righe poste a fianco del contrassegno. Nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile e l’altra un candidato di genere femminile della stessa lista, pena la nullità della seconda preferenza».
Chi ha progettato questa legge molto probabilmente voleva sottolineare la parità tra uomo e donna e dare un forte impulso alla presenza delle donne in politica. Ma sarà che questi obiettivi si potranno raggiungere con una legge di questo tipo?
Il primo risultato pratico di questa legge è che nell’avvicinarsi delle elezioni amministrative in diversi comuni siciliani è iniziata la caccia alle donne: non solo quelle da inserire nelle liste per garantire almeno 1/3 di presenza femminile (cioè le "quote rosa", espressione assolutamente infelice) ma soprattutto di quelle donne che potrebbero essere “abbinate” ad un uomo ai fini della preferenza. In secondo luogo è la dimostrazione che le donne vengono ancora guardate “al traino” dei colleghi uomini, prive di una propria identità e autonomia. Infatti a queste donne così ricercate viene chiesto di essere disponibili a concedersi – in esclusiva – per legare il proprio nome a quello di un uomo candidato nella medesima lista.
Ora, possiamo accettare che si parli di quote rosa; possiamo passare sopra il fatto che si usi la parola "femminicidio" (pessima) per indicare con un solo vocabolo un fenomeno che andrebbe descritto con una frase ben più articolata, ma addirittura condividere e apprezzare una legge che impone (non in maniera espressa ma in modo implicito) che la doppia preferenza in materia debba essere espressa a favore di una donna, mi sembra eccessivo. La scelta di un elettore che desidera esprimere la doppia preferenza non dovrebbe essere vincolata al genus del candidato.
In primo luogo perché dovremmo essere tutti liberi di votare per due donne o per due uomini. In secondo luogo perché l’elezione di una donna in un consiglio comunale non dovrebbe essere (anche) imposta per legge (è chiaro che rimane sempre salva la possibilità di esprimere una sola preferenza ad una donna) ma dovrebbe scaturire dalla capacità della donna candidata di trasmettere la validità delle proprie idee politiche e di convincere l’elettorato (maschile e femminile). Infine si dovrebbe evitare che una donna impegnata in politica si debba sentire eletta perché così è stabilito da una legge che impone numeri e non perché voluta in quello scranno per libera convinzione dei suoi concittadini.
Insomma, questa legge dovrebbe farci riflettere più di quanto sia accaduto anche a causa delle ingombranti vicende politiche nazionali. Ci vuole ben altro che una legge per aumentare la partecipazione femminile negli organi di rappresentanza politica. Si dovrebbe lavorare di più per creare le condizioni per un'effettiva parità fra uomo e donna in politica, nell'accesso alle professioni e ai vertici manageriali, introducendo sistemi che sostengano le donne che già naturalmente si prendono cura dei figli e della famiglia (anziani compresi).
La presenza delle donne nelle sedi politiche non è questione di numeri ma è un’esperienza in corso di maturazione. Il cambiamento non si può imporre con misure che finiscono per distorcere la realtà sulla quale si vuole intervenire. Le donne contano ma sono ben altro – e ben più – che semplici numeri.