Le dolci ombre del Guercino
Vederle insieme, per l’unica volta possibile, le due enorme tele della Crocifissione fa quasi svenire, tanta è la bellezza. Si parla delle due opere di Guido Reni dalla Trinità dei Pellegrini in Roma e di quella del Guercino da Reggio Emilia, basilica della Madonna della Ghiara. Anni, dal 1624 al 1626, quelli di papa Gregorio XV Ludovisi, pontificato breve, opere d’arte eccelse. Il papa che Guercino ritrae nello studio vestito di rosso scuro conosceva il pittore di Cento già da giovane, ne intuiva il genio, apprezzava la sveltezza nell’operare, la bellezza vivace del colore sulla scia dei bolognesi Carracci, la capacità ritrattistica e quella poesia umbratile, umanissima, dal morbido chiaroscuro che lo contraddistingueva. E lo chiamò a Roma.
Le due Crocifissioni che stanno ora affacciate l’una all’altra nella mostra dicono molto dell’arte dei quegli anni: la bellezza eburnea di Guido e del suo Cristo per l’unica volta ritratto addormentato sereno sotto al Padre dorato, e il chiaroscuro mite del Guercino col Cristo orante nel temporale tra Giovanni in manto rosso caravaggesco e Maria svenuta. Temporale in Guercino, azzurro paradisiaco in Reni. Bellezze diverse e unite a gareggiare negli anni in cui papa Ludovisi costruisce insieme al giovane nipote cardinale una villa con parco sul Pincio di cui rimane solo oggi il Casino.
Qui, dove Caravaggio aveva dipinto ad olio su muro un brano mitologico per il cardinal Del Monte, Guercino affresca la volta della sala con una Aurora bellissima e vaporosa, mentre la stupenda figura della Notte dorme in un angolo: una luce tra il notturno e l’aurorale calda, un sentimento cordiale, il mito in forme umane fascinose.
Ma Guercino per il Ludovisi aveva pure dipinto soggetti evangelici come le versioni del Figliol prodigo in abiti contemporanei dal colore succoso e dal sentimento sincero come pure la Susanna spiata dai vecchioni nell’umido, afoso meriggio padano. Bellezze brune erano le donne del Guercino che fossero la Maddalena o la Vergine o una divinità forse ritratti dal vero, vicini a noi con il colore ricco, la luce vibrante, ma senza eccessi, perchè questo pittore sa essere misurato.
Anche quando dipinge da giovane paesaggi memorabili, notturni lunari già romantici come quel Paesaggio oggi a Stoccolma nel 1616-17, lontano dalle nature fredde del Tassi o del Domenichino è fascinoso, perché più denso, disteso, calmo.
Grande dunque nelle smisurate pale d’altare – il Seppellimento di santa Petronilla ora ai Musei Capitolini romani ma un tempo nella basilica vaticana -, e nelle tele di modesto formato, con quel senso del teatro autentico, cangiante e appassionato come la Cattura di Cristo a Cambridge del 1621.
Eppure anche nel dramma Giovan Francesco Barbieri detto Guercino (1591-1666) non urta mai, né quando inscena il dolore o dipinge un ritratto o un mito come la bellissima tela Et in Arcadia ego, la morte presente anche nella poesia. È sempre sé stesso: calmo, profondo, armonioso. Umano, molto umano con le ombre dolci e morbide che tolgono alla vita ogni asprezza. Da non perdere.
Guercino. L’era Ludovisi a Roma. Fino al 26.1.2025 Scuderie del Quirinale.
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