Le dolcezze di Norma
Ci voleva un direttore siciliano di lungo corso come Gabriele Ferro per offrire a Roma, alle Terme di Caracalla, una Norma innovativa. Certo, Ferro ha rispettato i tagli tradizionali, del resto a Caracalla si offre uno spettacolo per il grande pubblico, non per gli specialisti.
Eppure la sua lettura dell’opera di Bellini, anno il 1831, fa capire ancora una volta che i capolavori non invecchiano mai. Norma è impostata come una Medea romantica, e su un impossibile amore: un uomo conteso fra due donne. Le Gallie fanno da sfondo e l’uomo, il poco leale Pollione, è una figurina rispetto alle due amiche-nemiche: Norma, la sacerdotessa colpevole, e Adalgisa, la giovane tentata fra verginità e amore.
Bellini fa cozzare questi due sentimenti, o meglio stati psicologici, come lame di acciaio musicale in una tempesta solo formalmente neoclassica, ma in verità romanticissima: e le donne in questa temperie sono gigantesche. Ferro sottolinea più che i contrasti e le asprezze guerriere, i momenti teneri, le angosce e i dolori, gli struggimenti e le nostalgie.
In particolare la melodia siciliana, mediterranea, melismatica, suadente e commovente da far paura per la sua pura bellezza. Raramente si è gustato così bene la dolcezza dei legni e gli accompagnamenti arpeggiati, così espressivi e ricamati, di Vincenzo Bellini. La sua musica si eleva e ci leva a sfere di sentimento universale, dove l’amore è lotta e perdono, vittoria e dolore. Ineluttabilità e potenza.
Grande concertatore, Gabriele Ferro ha volutamente fatto gran uso dei “rubati” nei tempi, sempre giusti. Anche la Casta Diva non era troppo lenta, ma “andante” come una preghiera accorata. E veniamo ai cantanti. Ha brillato per bellezza di timbro, facilità di emissione e chiarezza – la chiarezza è stata molto curata da Ferro – Serena Farnocchia, cantante assai preparata. La Norma di Maria Pia Piscitelli, personaggio ciclopico per immensità di sfumature psicologiche e musicali, ha retto bene alla prova, come il Pollione, anche se un po’ rigido sul palco, di Riccardo Massi.
La regia di Andrea De Rosa, che ha curato gli scabri impianti scenici, era senza troppi guizzi, cosa che ha messo in rilievo la bellezza di una partitura ascoltata dal grande pubblico in silenzio totale. Bellini strega ancora. Si replica fino al 5/8.