Le disuguaglianze ed il buon Dio

Il dossier della commissione economica Onu per la regione, la Cepal, segnala l’incremento della povertà, della concentrazione della ricchezza e delle disuguaglianze. Un fenomeno per niente divino.

 

«Vede, Alberto, il buon Dio ha deciso che mia nipote deve morire. Le cure sono troppo care e l’ospedale ci ha detto che i fondi non ci sono e noi in casa i soldi per curarla non li abbiamo», mi dice rassegnata donna Eli, che da 50 anni lavora come domestica tutto l’anno da lunedì a sabato. Insieme al marito tassista riuniscono 800 mila pesos al mese, ai quali vanno scontati la quota mensile per pagarsi la casa, acqua, luce, gas, telefono, le medicine per il suo diabete, il trasporto per andare al lavoro. «Guardi che il buon Dio non vuole la morte di nessuno, meno ancora di una bimba – le rispondo –. È andata in tribunale? No? Allora ci vada perché questo non è possibile». Mi ha guardato dubbiosa, poi si è decisa. La sentenza della Corte suprema del Cile, dopo alcuni mesi, ha stabilito che davanti al bene supremo della vita, lo Stato non può negare le cure per mancanza di fondi ed ha sancito l’obbligo di salvare la bambina affetta da una grave malattia. La sentenza ha fatto seguito a varie altre simili.

Potremmo dire che è una buona notizia. Sì, ma solo in parte, perché tale diritto non è garantito da una norma generale applicabile per tutti, ciascuno se lo deve far riconoscere ricorrendo alla giustizia. Ed in Cile ci sono 80 mila famiglie che affrontano malattie catastrofiche (un tumore). Dobbiamo chiederci allora quante “Eli” avranno accettato rassegnate il diniego della struttura pubblica che adduce di non avere fondi (infatti, copre appena 115 casi del totale indicato), perché non hanno idea dei loro diritti e di come farli valere. La disuguaglianza non è solo una differenza di reddito che ferisce chiunque abbia un minimo di sensibilità, ma si alimenta anche della poca “capacità” di essere coscienti dei propri diritti e di poterli esercitare. Le libertà oltre ad essere riconosciute hanno poi bisogno di essere garantite e che il soggetto senta la capacità di esercitarle, altrimenti restano un enunciato formale, ma non sostanziale.

Gli effetti delle disuguaglianze in America latina spiegano gran parte degli ultimi avvenimenti politici e sociali. Le proteste in Cile (da 45 giorni), quelle in Colombia (12 giorni), in Ecuador (un paio di mesi), ma anche i cambiamenti di governo in Brasile, Argentina, Uruguay dopo che gestioni anche di segno ideologico opposto non sono riuscite a venire a capo con efficacia al problema della povertà e delle disuguaglianze. Lo mette in evidenza la commissione regionale dell’Onu per l’America latina ed i Caraibi, la Cepal, col suo dossier annuale: Panorama social de América latina. Lo studio condotto da un pool di esperti rileva con preoccupazione che ha ripreso a crescere la povertà: 191 milioni, cinque anni fa erano 164. Di questi, 72 milioni sono indigenti (non riescono a consumare le calorie necessarie). Il 76,8% della popolazione si compone di settori di reddito basso o medio-basso. Tale quantità è in crescita, come pure la percentuale di redditi alti che sono passati dal 2,2 al 3%.

In merito alle disuguaglianze, sorprende l’analisi del coefficiente Gini. Sebbene non sia uno strumento perfetto, è un indicatore da tener conto. Se zero equivale all’uguaglianza massima, 1 è la disuguaglianza totale. In Europa, per farci una idea, questo coefficiente oscilla tra 0,23 e 0,37 passando dai Paesi scandinavi al centro e sud del continente. In America Latina siamo al 0,465 in media, con Paesi attorno allo 0,5. Ma quando si analizzano i dati una volta pagate le tasse, l’indice schizza allo 0,6, come nel caso della Colombia o dello stesso Cile. Se si comparano i dati di Germania o Regno Unito, si scoprono disuguaglianze simili nella percezione del reddito. Ma queste si riducono drasticamente dopo aver pagato le tasse. Nella regione, grazie spesso a generose esenzioni e inspiegabili benefici, avviene l’esatto contrario, con l’aggravante di sottrarre allo Stato risorse importanti per poter diminuire le differenze migliorando le opportunità di sviluppo di tutti. L’effetto è quello di accentuare la concentrazione del reddito in poche mani, quelle che secondo la meritocrazia in voga hanno «meritato» il loro status, e si guardano bene dal modificare il meccanismo che a loro concede ulteriori benefici, mentre un pugno di sabbia resta nelle mani della gran parte della popolazione. Tra l’altro, col senso di colpa di non aver meritato il benessere. No, questa non è opera del buon Dio.

 

 

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