Le cronache di Nanaria
Arianna ha 11 anni ed è piena di vita: di sogni, aspettative e paure comuni. Vive con passione la sua età di scoperte e di importanti relazioni coi coetanei. Lo spazio dell’incontro, dell’emozionante e fondamentale socialità, è quello della scuola: fertile e complesso, anche se fuori dalle sue mura preme senza sosta il ruolo delicato (e altrettanto fondamentale) dei genitori. È vivace di pensiero, Arianna, ma ogni volta che inizia a leggere, puntualmente salta fuori un problema: la giovane soffre del disturbo della dislessia, un Dsa (disturbo specifico dell’apprendimento) che le porta difficoltà nella didattica e nei rapporti con gli altri.
Arianna (interpretata da Valentina Filippeschi) è la protagonista di un’intelligente e lodevole serie andata in onda su Rai Gulp (in 15 episodi dal 3 aprile scorso) e ancora disponibile per intero su Raiplay. Si intitola Le cronache di Nanaria, proprio perché per Arianna le lettere si muovono a modo loro, e metterle insieme con fluidità e naturalezza non è semplice. Tutt’altro, ed è come se davanti a questa prova continua e ansiogena arrivassero dei mostri nemici a disturbare: li vediamo in grafica e ci aiutano ad entrare nel campo emotivo della giovane.
Prodotta da Rai Kids con Aurora Tv, Le cronache di Nanaria – che gode del patrocinio di Aid (Associazione Italiana Dislessia) – è abitata da preadolescenti circondati da mamme e da papà più o meno presenti e più o meno affannati, più meno imperfetti, oltreché da professori (come quello d’inglese) tratteggiati con misura e un certo distacco, eccezion fatta per Nora, l’insegnante che cura il laboratorio teatrale: spazio focale della narrazione, luogo dell’approfondimento, del confronto, persino dello scontro costruttivo tra i ragazzi. È qui, in questa oasi di introspezione e analisi, in questa stanza liberatoria, che Arianna e gli altri compagni riescono ad affrontare sé stessi, nel loro (appena cominciato) percorso identitario. Avviene grazie all’empatia di Nora: alla sua totale attenzione ai partecipanti, alla sua passione, alla capacità di osservazione e ascolto, alla sua competenza comunicata di continuo agli allievi con calore e vicinanza.
Le Cronache di Nanaria riesce ad armonizzare il suo tema portante (la dislessia) con una fotografia semplice, leggera ma compiuta, di quell’età fugace che è la preadolescenza, legandola, con un linguaggio ormai collaudato da Rai Kids (vedi anche la recente Crush – La storia di Tamina) ad argomenti come il cyberbullismo (di questo parla lo spettacolo allestito dai ragazzi), i social (Arianna tiene un video diario) e le dinamiche di gruppo. La serie ha il pregio di essere il primo teen drama a entrare nel tema della dislessia, e con questo dentro quello più ampio dei disturbi dell’apprendimento. Lo fa con ammirabili chiarezza e decisione: l’argomento non è solo citato, sfiorato, diluito, come può capitare per certe tematiche delicate legate alle condizioni o alle patologie mentali, ma attraversato con la possibilità di conoscerlo e comprenderlo davvero, di sensibilizzare su questo disagio di cui soffrono più persone di quanto si pensi, e che può generare, se non affrontato nel modo migliore, molti problemi a chi lo vive.
Ne prende coscienza lo spettatore come la stessa Arianna, che finalmente, non senza un faccia a faccia faticoso col dolore, riesce a dare un nome a quella sofferenza già presente in modo sordo nella scuola primaria: trova il coraggio di ammetterla davanti agli altri, di accettarla e di afferrare i primi strumenti per combatterla. Finalmente potrà affrontare la verifica di inglese con meno domande, per esempio: «È un tuo diritto», le spiega il professore. Ne prendono coscienza (e ne traggono lezione) anche i suoi coetanei, rappresentati con le lacune interiori della loro età: c’è chi non sa gestire la rabbia, chi per primeggiare ferisce ripetutamente l’altro cavalcando le sue difficoltà. Chi per essere accolto si mette al servizio del leader. Insieme si mettono in gioco e in discussione grazie a quel teatro che unisce, allevia, alimenta il gruppo e aiuta a esprimersi e a riconoscere l’altro come persona. Tutto questo rende la visione di Le cronache di Nanaria decisamente utile per i ragazzi, nonostante i limiti (inevitabili vista l’età) nella recitazione e un linguaggio minimale, sobrio, meno roboante rispetto ad altre serie che tanto piacciono agli adolescenti, col loro linguaggio enfatico e magnetico, ma anche coi loro contenuti contraddittori.
Ci sono diverse frasi da sottolineare in positivo in questo racconto diretto da un regista appena trentenne, Matteo Gentiloni: una di queste dice che «Quando ferisci una persona non importa chi ha ragione e chi no, quello che conta è quanto tieni a lei». Un’altra sostiene: «I veri amici sono quelli che guardano l’etichetta ma prendono il barattolo e guardano cosa c’è dentro». Un’altra ancora parla di come, attraverso un video, si possa costruire il bene oppure il male. Tutte insieme, unite ad altre interessanti sfumature, si accumulano intorno al tema della dislessia rendendo Le cronache di Nanaria un prodotto davvero consigliabile.
__