Le corriere sono meglio delle barriere
La tentazione deve essere proprio forte, di quelle che danno ai politici l’impressione di essere diventati onnipotenti. Ora, dopo i muri costruiti verso l’esterno della Ue, ecco che un nuovo muro di un chilometro di lunghezza e di quattro metri di altezza viene programmato, a spese del contribuente britannico, in pieno territorio francese: una sorta di cintura protettiva, di cintura di castità attorno al porto di Calais, verso cui si concentrano gli sforzi di migliaia di immigrati che hanno il sogno di raggiungere Londra, Manchester, Birmingham e le altre metropoli britanniche.
Effetto Brexit? Crisi della politica francese? Incapacità europea di gestire l’ondata migratoria avviatasi decenni fa, ma accentuatasi da due o tre anni per la grave crisi bellica siriano-irachena? Bricolage delle governance dei governi europei? Di tutto un po’. Fatto sta che di nuovo si pensa di porre uno stop all’immigrazione potente che arriva dal Sud del mondo costruendo muri. Si finirà come con Israele, che ha sì costruito una “barriera di protezione” di 700 chilometri attorno al suo territorio (“suo”, si fa per dire), senza accorgersi di essersi rinchiuso in una prigione, dorata quanto si vuole ma pur sempre una prigione.
Si pensa di fermare l’ondata migratoria semplicemeente con barriere fisiche, senza andare alle radici della questione, senza capire che gente che ha speso tutto quanto possedeva e ha rischiato per mesi o per anni di morire in viaggi estenuanti attraverso continenti e mari troverà comunque un modo di arrivare a destinazione. La soluzione, lo ripetiamo da sempre su queste colonne, non sta nella “barriera” ma nella “corriera”: per ragioni umanitarie ed economiche, sarebbe molto meglio organizzare il flusso dei migranti con politiche lungimiranti verso l’arco di Paesi che va dal Senegal fino al Bangladesh, dai Paesi di partenza dell’immigrazione sia per motivi economici che politici o militari. Tantopiù che l’Europa ha bisogno di sangue fresco, vista la sua potente crisi demografica. Non si tratta di buonismo, ma di realismo.