Le conseguenze di un regime ateo e violento

Come si può spiegare la ferocia di un potere che ha voluto annientare ogni traccia di Dio nella società? La testimonianza dei martiri davanti a papa Francesco e le ferite ancora aperte della società. Intervista a don Gjergj Meta, sacerdote albanese
martiri albania

Alla fine, più delle parole, è stato il pianto del papa nella cattedrale di Tirana, dopo il racconto delle torture e delle violenze subite da due anziani testimoni della fede, un sacerdote e una religiosa, a far percepire il senso della visita in questo Paese ancora sconosciuto. Come ha detto Francesco parlando a braccio, nel pomeriggio, durante i vespri, «in questi due mesi, mi sono preparato per questa visita, leggendo la storia della persecuzione in Albania. E per me è stata una sorpresa: io non sapevo che il vostro popolo avesse sofferto tanto!». «Si vede – ha aggiuntoche questo popolo ancora ha memoria dei suoi martiri, di quelli che hanno sofferto tanto! Un popolo di martiri… E oggi, all’inizio di questa celebrazione, ne ho toccati due. Quello che io posso dirvi è quello che loro hanno detto, con la loro vita, con le loro parole semplici… raccontavano le cose con una semplicità… ma tanto dolorosa! E noi possiamo domandare a loro: "Ma come avete fatto a sopravvivere a tanta tribolazione?". La risposta è che è Dio “a consolarci!”. Il Signore consolò “i martiri” e “questi due che abbiamo sentito oggi, il Signore li consolò perché c’era gente nella Chiesa, il popolo di Dio, le vecchiette sante e buone, tante suore di clausura, che pregavano per loro».

Restano altre domande su questa storia ancora poco conosciuta: come si può spiegare una persecuzione così inumana e violenta? Secondo il padre domenicano Ivan Attard, «Il comunismo albanese, più che di matrice marxista, era di matrice stalinista. Il modo albanese di realizzare la dittatura comunista per molti aspetti viene dal fatto che Hoxha è figlio del popolo albanese e ha saputo fare leva su una forma di solidarietà che facilmente scatta in questo popolo. Enver Hoxha ha potuto instaurare una simile dittatura con la forte collaborazione di molti albanesi ed epurando a varie riprese ogni forma di opposizione, sempre risorgente, ma in modo debole e facilmente eliminabile, senza troppi scrupoli. In questo egli ha fatto consistere la sua forza, ma, eliminando sempre ogni forma di opposizione senza tentare di integrarla con il dialogo, con gli anni ha anche alimentato la debolezza del sistema, sostanzialmente basato sul sospetto di tutti contro tutti e sulla paura».

Sulle dimensioni di questa impronta ateistica e sugli effetti sulla vita sociale, abbiamo chiesto il parere di don Gjergj Meta, sacerdote diocesano di Tirana, albanese, ordinato ad inizio del nuovo millennio, nel 2000. Attualmente i cattolici rappresentano il 15 per cento della popolazione.

Come si può spiegare, fuori da ogni semplificazione,  la presenza per decenni di una dittatura carismatica di origine marxista con un taglio così duramente ateistico? 
«L’Albania ha una storia tutta sua. La lettura che hanno fatto i comunisti albanesi del marxismo si è distinta nettamente da quella fatta dai russi o da altri paesi del campo socialista in Europa. Era una vera manipolazione delle masse più povere per certi versi, con la promessa di una vita futura felice, con un certo messianismo politico carismatico: elementi, questi, che influenzarono gran parte della popolazione. E poi le atrocità del regime hanno creato un clima di paura che non ha lasciato spazio per la dissidenza. Soprattutto ha agito il clima di diffidenza di tutti contro tutti, ad ogni livello, partendo dai nuclei familiari. Così gli albanesi si sono visti imporre un ateismo non solo ideologico, ma anche giuridico, decretando l’ateismo di Stato. Assurdo, ma vero!»

Con quali conseguenze?
«La conseguenza più atroce di un tale ateismo, o comunque di questa chiusura verso la religione, è stato lo svuotamento dei valori nella persona umana. Ed oggi, diversamente dall’Occidente, dove lo svuotamento ha il nome di assuefazione, in Albania esso ha la forma di un vuoto profondo che spinge verso una mentalità ndividualistica. Cosi l’annuncio cristiano a mio modo di vedere passa attraverso la cura della persona umana nella sua capacità relazionale, nel dare un senso al suo vissuto che per noi cristiani è il Regno di Dio, come dimensione comunitaria della fede. Ma per questo occorre rafforzare il fondo umano di ognuno con tanto ascolto, vicinanza, solidarietà, attenzione delicata alla persona, comprensione verso chiunque si avvicinialle nostre comunità. Cristo oggi farebbe questo in Albania, curerebbe le piaghe, le ferite, con amore e pazienza».

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