Le conseguenze della pornopandemia

Gli orribili casi di violenza avvenuti a Palermo e Caivano sono anche la conseguenza della diffusione incontrollata della pornografia on line. Un giro di affari miliardari che produce gravi danni, in particolar modo tra i giovani.
Foto di Haykanush Goroyan da Pixabay

I fatti terribili di stupri di gruppo venuti alle cronache le scorse settimane, l’uno a Palermo contro una donna neomaggiorenne, e l’altro a Caivano a danno di due bambine, riportano prepotentemente il tema della violenza sessuale all’interesse pubblico.

Purtroppo, ancora una volta, questo interesse si attiva nell’emergenza non per raccontare vittorie o progressi, ma per constatare l’ennesimo fallimento che denuncia un imbarbarimento in corso di cui facciamo fatica a prendere coscienza. Non che la violenza sessuale sia una novità, purtroppo; ma occorre fermarsi un attimo a riflettere su alcune peculiarità che differenziano il fenomeno di oggi rispetto al passato.

Intanto parliamo di violenza sessuale contro bambine e donne, e questo va tenuto bene a mente: il dato culturale che vede ancora il genere femminile un oggetto subalterno di cui poter abusare imponendo la forza ed il potere, è uno sfondo ancora indelebile, nonostante barlumi di piccoli cambiamenti.

Sta nella cultura maschilista la causa primaria della violenza sessuale, tant’è che episodi di violenza e di sfruttamento sessuale della donna sono fenomeni trasversalmente impregnati nelle pieghe della stratificazione sociale, in qualunque fascia di popolazione; cambia la modalità e talvolta l’efferatezza con cui tali reati si compiono, ma i maschi autori di violenza appartengono sia a gruppi sociali segnati da povertà e degrado, quanto ad élite dominanti.

Fatta questa necessaria premessa, che chiarisce la matrice culturale della violenza di genere, e quindi il problema educativo che andrebbe seriamente affrontato in chiave preventiva combattendo innanzitutto stereotipi e ruoli di genere che stimolano un’immagine femminile “cosificata”, è onesto parlare della violenza sessuale tenendo conto della multifattorialità del fenomeno.  Le cause di tale aberrazione (che affonda le radici nella storia dell’umanità) sono molteplici; in primis sono culturali, come dicevo; ma poi anche economiche e politiche (il potere di genere maschile passa attraverso la detenzione del potere finanziario e del mantenimento dei centri di comando).

Ci sono poi anche cause psicosessuali: la tanto sbandierata emancipazione sessuale femminile pare, talvolta, più un asservimento alle leggi del mercato della moda e dell’industria dell’immagine che un vero progresso, e schiaccia la donna nel ruolo di detentrice e stimolatrice di passioni, attanagliandola nel mandato di tenere un corpo sempre giovane ovvero sessualmente attraente.

Tali cause si sommano al depotenziamento del ruolo educativo nelle famiglie (a causa della crisi della genitorialità) ed alla enorme fatica che sta facendo la scuola a stare al passo con i cambiamenti epocali in atto, ma che la vedono ancora troppo incapace di dare risposte efficace ai ragazzi.

Se ci limitassimo a queste cause non coglieremmo però la peculiarità dei fatti di Palermo e di Caivano, tanto diversi (nel primo emerge la crudeltà del branco, nel secondo l’omertà del contesto sociale e delinquenziale) quanto simili per un aspetto, ovvero il tentativo di spettacolarizzazione del reato commesso tramite la realizzazione di filmati video con cui gli autori hanno sentito il bisogno di registrare quanto stavano compiendo.

Da dove nasce il bisogno di riprendere con una videoregistrazione un proprio crimine, e magari di renderlo pubblico in rete? È come se il mondo digitale avesse creato un ecosistema di appartenenza a cui si sente il bisogno di dare conto, con leggi e (dis)valori propri.

Che il mondo virtuale e quello reale siano ormai un continuum è una verità attestata già da vari anni e da diversi studi, e questo mix è forte e irriconoscibile da tanti adolescenti; che la digitalizzazione estrema sia un fenomeno ormai dilagato, con tutti gli effetti deleteri sul cervello e sulla mente, soprattutto se parte dalla prima infanzia, è anch’essa una verità tanto appurata quanto ancora poco considerata seriamente dal sistema educativo e di protezione sociale.

Con l’avvento di Internet, la condivisione costante ed esponenziale di materiale pornografico in rete ha rinforzato anche le espressioni di disagio e distorsione del dato di realtà psicocorporeo, relazionale e sessuale.

Quando tale fruizione incontrollata genera sovraeccitazione sessuale precoce, che cosa accade alla mente di bambini e ragazzi? Quali regole inconsapevoli impone il regno del porno online, al punto da fare diventare il reale il palcoscenico su cui inscenare quanto appreso nel virtuale?

Nel momento in cui una persona guarda un’immagine erotica, il sistema di ricompensa del cervello si accende generando sensazioni piacevoli; se l’esperienza si ripete spesso, il cervello impara, nel tempo, che il porno è un modo affidabile per ottenere sensazioni positive.

Ciò che viene chiamato in causa e che viene alterato è il metabolismo della dopamina, un importante neurotrasmettitore prodotto in diverse aree del cervello con una funzione di controllo sulla sensazione di piacere e sul meccanismo di ricompensa: più volte si ripete l’esperienza piacevole, più si sente il bisogno di ripeterla, fino allo svilupparsi di sintomi soggettivi di dipendenza da porno.

Anche l’amigdala, una parte del cervello che gestisce le emozioni, può essere attivata quando si visualizzano materiali pornografici: alcuni utenti abituali di video porno possono essere soggetti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo o depressione o entrambe le cose. Dunque, eccitazione e ricompensa dopaminica, e vissuto depressivo che si sperimenta nei periodi di astinenza da pornografia, acuirebbero il desiderio di colmare il senso di vuoto; immaginiamo quanto questo bisogno di sia tanto più forte quanto più i ragazzi che abusano di pornografia sono già vittime di vuoti esistenziali e di offerte educative e relazionali attraenti (un vero e proprio tentativo di rifugio).

Questo aspetto rende la dipendenza dalla pornografia paragonabile a quella dall’alcol o da altre droghe. Ma c’è dell’altro: il funzionamento dei neuroni-specchio fa in modo che chi osserva immagini di relazioni sessuali in un video non le guarda con la consapevolezza di esserne estraneo; le reazioni della mente e del corpo indicano che l’osservatore percepisce le immagini come se ne fosse il protagonista.

In questo caso, il cervello non è in grado di distinguere tra realtà e immaginazione: chi sta guardando un film porno non osserva il sesso, ma lo vive, o almeno questo è quello che il suo cervello registra. Accade inoltre che i fruitori di pornografia online divengano inconsapevoli vittime di un imbroglio a causa di distorsioni cognitive: ciò che l’industria della videopornografia inscena è spesso una finzione che induce lo spettatore inconsapevole a credere che certe prestazioni viste nei film siano possibili nella realtà, inducendo la persona dipendente da porno a voler realizzare-agire nella realtà quanto appreso per suggestione.

Da qui il bisogno di emulazione così lapidariamente descritto dagli autori dello stupro di gruppo di Palermo: «eravamo ti giuro 100 cani sopra una gatta, una cosa di questa l’avevo vista solo nei video porno».

La pornografia crea spesso un’idea irrealistica delle relazioni sessuali e degli standard corporei; uno studio ha descritto che coloro che hanno sviluppato un consumo malsano di pornografia spesso hanno difficoltà ad eccitarsi nei rapporti sessuali genuini (Medical News Today, 2021).

La dipendenza da pornografia stimola non solo l’emulazione di quanto osservato in video, ma potrebbe avere anche una correlazione diretta con il comportamento violento, qualora si consumi materiale con scene coercitive, umilianti e violenti (verso cui soprattutto in adolescente può esperire particolare attrazione).

Spesso la pornografia raffigura una mascolinità tossica, dove le donne sono costantemente soggettivizzate sessualmente e sono vittime di aggressioni verbali e fisiche (Mikorski & Szymanski, 2017).

Se consideriamo che la sessualizzazione precoce stimolata dai media rende fruitori (e spesso dipendenti) utenti sempre più giovani (Stepanko, 2022), preoccupa il fatto che i comportamenti sessualmente violenti verso la donna possono avere un impatto sulle opinioni, credenze e comprensione dei ruoli di genere, stimolando distorsioni cognitive che alimentano la cultura maschilista. A conferma di ciò, molti studi hanno riscontrato correlazioni tra l’esposizione alla pornografia violenta e una maggiore tendenza alla violenza sulle donne, oltre al perpetrarsi di credenze a favore della violenza contro le donne (Mikorski & Szymanski, 2017).

In particolare è stata confermata anche la relazione tra visione di pornografia violenta e aggressioni negli appuntamenti romantici tra adolescenti, il che confermerebbe il corto circuito che si attiva nella mente dei ragazzi dipendenti da porno: gli adolescenti che si alimentano di pornografia tendono di più a concepire le donne come oggetto sessuale ed a tentare di ricreare il contenuto nel video con i propri partner, anche se magari legati loro affettivamente, giungendo così alla violenza nella relazione.

Stiamo, insomma, assistendo ad una vera e propria “pornopandemia”: un’epidemia nascosta che, mancando del dato allarmistico di una usuale epidemia, alberga ormai tra i nostri ragazzi come qualcosa con cui si convive, una pandemia appunto. Si tratta di un male da combattere con forza e tutti insieme, prima che si incrementino rilevanti cambiamenti nel nostro cervello. Il cervello non è fatto per la pornografia, soprattutto quella online la quale espone a rilevanti cambiamenti cerebrali che portano a ricadute sulla psiche e sulla salute sessuale, oltre che a livello sociale.

Secondo lo studio riportato sul sito www.yourbrainonporn.com la dipendenza da pornografia online può stimolare tre cambiamenti principali: desensibilizzazione (progressiva perdita di interesse e sensibilità verso altri piaceri); sensibilizzazione (processo secondo cui il cervello collega sensazioni, immagino ed emozioni con una ricompensa particolarmente intensa creando una corsia privilegiata per arrivare a quella ricompensa in futuro); ipofrontalità (riduzione di funzionalità nella corteccia frontale del cervello ovvero la regione deputata alla maggior parte delle funzioni coscienti, il che significa riduzione della capacità di autocontrollo degli impulsi e dei desideri).

L’aggravante della “pornopandemia” è che essa è silente e non crea allarme sociale (come avviene invece per le droghe e l’alcol): il porno online prende di mira circuiti innati dedicati alla sessualità, modellando il cervello tramite alterazioni della percezione.

Che la “pornopandemia” sarà dura da debellare lo sanno bene le industrie che la stanno sostenendo, e di questo dato commerciale non possiamo prescindere se vogliamo comprendere davvero la portata del fenomeno e la sua influenza sui ragazzi. Vengono spesi nel mondo enormi quantitativi di denaro in pornografia; una stima americana supera di gran lunga i tremila dollari al secondo (Quattrini & Spaccarotella, 2010), al punto che negli Usa il giro d’affari dell’industria del porno ogni anno è di circa 97 miliardi di dollari, con circa cinque milioni di siti dedicati alla pornografia.

Nella bozza di rapporto varata dalla Commissione pari opportunità del Parlamento europeo del 2004 si stima che l’industria del sesso nel mondo muove un business da 5 a 7 mila miliardi di dollari l’anno, superando per introiti il settore delle spese militari, soldi che passano attraverso lo sfruttamento di 4 milioni di persone.

Per quando riguarda il panorama italiano, ne usufruiscono in nove milioni, con un giro di affari di 993 milioni di euro annui, in crescita (Eurispes, 2004).

La violenza sessuale contro le donne è certamente un fenomeno multicausale ma se non prendiamo coscienza del fatto che le fondamenta che lo sostengono sono di tipo economico e commerciale, e quindi di scelte politiche macro, rischiamo di cadere nella solita retorica che vorrebbe addebitare esclusivamente alle famiglie o all’educazione la ricerca di soluzioni.

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