Le colpe dell’Occidente nella strage di Garissa

I terroristi colpiscono indifferentemente cristiani e musulmani, basti pensare alla situazione somala e nigeriana, con l'intento di fa implodere gli stati del mondo arabo e questo mentre l'Europa e gli Usa continuano a fare affari con le monarchie del petrolio
Università di Garissa

«È in corso una guerra di religione». Ormai questa espressione è ricorrente sui quotidiani italiani ed è sintomatica del malessere che la nostra società occidentale sta sperimentando in riferimento ai crimini perpetrati dalle cellule eversive di matrice jihadista.

L’eccidio di Garissa, in pieno triduo pasquale, è l’ultimo di una lunga serie contro i cristiani ed è quello che ha spinto molti opinionisti a stigmatizzare la violenza di matrice religiosa dei fautori della sharìa, la legge islamica. A questo proposito, occorre molta prudenza nel classificare gli atti criminali perpetrati da queste metastasi del salafismo, sia in Medio Oriente come anche nell’Africa Subsahariana.

Anzitutto va ricordato che l’intento dei terroristi è quello di provocare non solo uno scontro tra la civiltà occidentale e quella islamica, ma addirittura di far implodere gli stati del mondo arabo, così come sono stati ereditati dall’epopea coloniale. Il concetto stesso di moderno califfato, spesso sbandierato dalla propaganda jihadista in Siria, Iraq e Nigeria, si oppone all’attuale scacchiere geopolitico della Mezzaluna e di quei Paesi dove vi è una nutrita comunità musulmana. In effetti, i miliziani colpiscono non solo i cristiani e altre minoranze religiose, ma chiunque si opponga al loro delirio. Basti pensare a quanto accade, quasi quotidianamente, nello stato nigeriano del Borno, dove la stragrande maggioranza delle vittime civili sono di fede islamica.  Ad esempio,  lo scorso 6 aprile, un gruppo di miliziani Boko Haram, travestiti da predicatori, ha compiuto una strage nel villaggio di Kwajafa, uccidendo almeno 24 persone e ferendone molte altre. Fonti militari e testimoni hanno riferito che la carneficina si è verificata nei pressi della locale moschea.

Lo stesso ragionamento riguarda la Somalia dove gli estremisti al Shabaab, da anni, seminano morte e distruzione, uccidendo i loro stessi correligionari. Lo scorso 27 marzo, ad esempio,  questi miliziani (gli stessi autori della strage di Garissa) hanno attaccato l’hotel Maka al Mukarama, nel quale erano presenti diversi parlamentari somali. Nell’attentato sono morte oltre 20 persone. Detto questo è ormai chiaro che le uccisioni dei cristiani, non vanno affatto sottovalutate, ma comunque contestualizzare nei rispettivi scenari. In Kenya, ad esempio, servono ad amplificare la reazione degli al Shabaab contro il governo di Nairobi, ritenuto filooccidentale, che ha inviato un contingente militare in Somalia nel 2011 per combattere i terroristi islamici.

Questa strategia sortisce un effetto mediatico non indifferente anche se rivela l’ignoranza dei miliziani somali. Essi, infatti, ignorano non solo che l’esecutivo keniano sotto la guida del nuovo presidente Uhuru Muigai  Kenyatta è dichiaratamente filocinese, ma dimenticano che il cristianesimo è nato in Medio Oriente e non in Europa. Come se non bastasse, le cancellerie occidentali, finora, si sono limitate a condannare l’estremismo islamico senza svelare i retroscena di questo fenomeno che ha una forte valenza ideologica, strumentalizzando la religione per fini eversivi.

Dietro le quinte si celano gli interessi del salafismo più intransigente delle petromonarchie del Golfo. Si tratta di una vecchia storia, più volte svelata da autorevoli osservatori internazionali, ma quasi mai denunciata dalle grandi democrazie euro-atlantiche. Le ragioni sono soprattutto di ordine economico. Basti pensare agli ingenti investimenti dell’Arabia Saudita e del Qatar in Europa. Recentemente,  il Fondo sovrano degli emiri del Qatar ha acquistato i nuovi grattacieli di Milano. Il valore complessivo dell’operazione è di circa 2 miliardi di euro. Già da tempo, i Paesi del Golfo hanno deciso di investire all’estero i loro petrodollari. Era il maggio 2011 quando la Qatar Sport Investments pagò 50 milioni di euro il 70% di una società calcistica – la Paris Saint Germain – che allora stava, per così dire, ai margini del grande calcio francese. Da quel giorno la strategia degli sceicchi è stata chiara: utilizzare Parigi per fare il salto di qualità scalando non solo il ranking Uefa ma il business stesso del pallone e il suo indotto. E cosa dire dei rapporti di strettissima amicizia tra il presidente François Hollande e i  componenti della casa reale wahabita?  È bene poi rammentare che gli Stati Uniti sono sempre andati a braccetto con i Paesi del Golfo, non solo a seguito bel business petrolifero, ma anche in funzione anti iraniana.

Al momento, è troppo presto per pensare che l’intesa di Losanna, siglata la scorsa settimana sul nucleare iraniano possa, per così dire, sparigliare le carte. Certamente l’Arabia Saudita e le altre petrolmonarchie del Golfo temono un’alleanza tra gli Stati Uniti e l’Iran che potrebbe far passare in secondo piano la storica collaborazione tra Washington e le potenze sunnite. Per questo motivo Ryad avrebbe accelerato di molto negli ultimi mesi gli sforzi atti a dotare il suo esercito di tecnologie in grado di funzionare indipendentemente dal complesso bellico statunitense. Lo scorso anno, l’Arabia Saudita è diventata, in effetti, il primo importatore di armi al mondo con una spesa annuale di ben 6,5 miliardi di dollari.

(Continua)

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