Le cifre della crisi nel Mediterraneo

Berlusconi annuncia l'avvio dei bombardamenti in Libia. Qualche numero su un'area in crisi e tanti gesti silenziosi di solidarietà
tunisia

Con il resoconto dei mass media di una telefonata tra il premier italiano Silvio Berlusconi e il presidente degli Stati Uniti Obama, è stato dato l’annuncio agli italiani della svolta data dal governo al conflitto che vede contrapposte le forze della Nato all’ex rais libico Gheddafi. L’Italia, infatti, effettuerà, secondo le parole del ministro della Difesa La Russa, «missioni di precisione su obiettivi specifici», cioè bombarderà il Paese dell’ex alleato, cercando di evitare di colpire le popolazioni civili. Una decisione che ha spaccato le forze politiche, finanche la stessa maggioranza con la Lega decisamente contraria all’attacco, e che potrebbe non essere sottoposta all’esame del Parlamento, secondo le parole del ministro degli Esteri Frattini.

 

Ma cosa sta accadendo in quest’area funestata da tante morti e spazzata da un fortissimo vento di cambiamento? Secondo alcuni dati dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur), sono più di 500 i libici che agli inizi di aprile sono fuggiti dal conflitto per cercare rifugio nell’area di Deliba a sud della Tunisia.

 

Si tratta per la maggior parte di persone di etnia berbera con necessità immediate di assistenza. I tunisini, infatti, hanno concesso l’area di un campo sportivo nella città di Ramada dove, insieme con l ‘Acnur hanno preparato un campo con 130 tende.. Secondo notizie dell’Acnur, la comunità tunisina locale ha aperto le case per accogliere intere famiglie libicheUna scuola vicina al campo di Ramada, si è offerta di iscrivere a scuola gli studenti libici.

 

Dal 26 marzo scorso agli inizi di aprile sono 1.100 persone su 5 imbarcazioni che sono arrivate a Malta dalla Libia. E dalla stessa data 3358 persone partite dalla costa libica hanno raggiunto l’Italia meridionale. Al 10 aprile erano 498.313 le persone fuggite dalla violenza in Libia attraverso i confini terrestri: 199.700 in Egitto (tra le quali 83.218 egiziani e 56.656 libici), 236.151 in Tunisia (20.228 tunisini e 48.957 libici), 36.580 in Niger (33.675 nigerini), 14.126 in Algeria, 6.219 in Ciad e 2.800 in Sudan. Solo il 10 aprile, invece, 3.900 persone sono entrate in Egitto tramite il confine di Sallum. Tra loro tremila libici.

 

Se le cifre, come si vede, danno una immagine dell’attuale realtà nord africana ben più generosa e solidale di quello che immaginiamo, penso opportuno sottolineare il protocollo deontologico predisposto dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa italiana, la Carta di Roma, che dovrebbe aiutare i giornalisti che esercitano il diritto/dovere di cronaca innanzi tutto ad usare termini giuridicamente appropriati al fine di «restituire al lettore la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri…».

 

A tal fine potrebbe essere utile interpellare esperti ed organizzazioni specializzate in materia, per poter fornire al pubblico l’informazione in un contesto chiaro e completo, che guardi anche alle cause del fenomeno. Il protocollo è del gennaio 2007, ma è opportuno riprenderlo e diffonderlo: il termine “clandestino”, ad esempio, ancorché venga usato da tutti e tutti i giorni, è un termine giuridicamente improprio.

 

Infine, da sottolineare la recente dichiarazione dei vescovi siciliani che a Palermo qualche settimana fa hanno stigmatizzato le soluzioni «adottate a Lampedusa, Trapani Mineo e Caltanissetta:… non sono rispettose della dignità umana delle persone immigrate e non sono idonee ad una loro integrazione con il territorio. Gli interventi impostati su logiche di ordine pubblico – dicono ancora i Vescovi siciliani – non valorizzano adeguatamente le risorse del volontariato e delle istituzioni non profit e lo spirito di solidarietà delle nostre popolazioni».

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