Le Chiese scendono in campo
Quando parlano di crisi economica l’analisi non è mai tecnica. Inutile poi aspettarsi soluzioni in grado di far risalire spread o contenere gli sbalzi della borsa. Non si sono neanche persi in discorsi comprensibili solo agli addetti ai lavori. No, loro parlano con il cuore, perché parlano delle persone che conoscono, delle comunità che seguono, delle situazioni che vivono in prima persona.
Siamo a Lisbona e quest’anno il Forum europeo cattolico-ortodosso ha scelto di mettere al centro un tema di grande attualità, “La crisi economica e la povertà: sfide per l’Europa di oggi”. Sono arrivati qui, nella capitale del Portogallo, i rappresentanti delle Conferenze episcopali europee e dei Patriarcati di Mosca, Serbia, Romania, Georgia, delle Chiesa di Cipro, Polonia e Albania. L’incontro si è svolto a porte chiuse, ma fuori nei corridoi hanno tutti una grande voglia di parlare, di dare voce alle difficoltà dei loro popoli.
«In Grecia – dice il metropolita Gennadios – i politici hanno perso credibilità. Molte persone sono in sciopero, molti altri hanno perso il lavoro, molti ancora hanno perso ogni speranza e in tanti sono arrivati addirittura al suicidio. La Chiesa condivide questa sofferenza umana». Situazione difficile anche in Portogallo: «I poveri – osserva il Patriarca cattolico di Lisbona, José da Cruz Policarpo – sono quelli che pagano il prezzo più elevato. Il problema principale è la mancanza di lavoro. Da noi, la disoccupazione è arrivata a un livello mai conosciuto. Fino all’anno scorso il tasso di disoccupazione era del dieci per cento. Adesso ha raggiunto il sedici». «In Ungheria – fa sapere il card. Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest – il salario medio arriva appena al 20 per cento del salario medio tedesco mentre i prezzi sono quasi gli stessi».
Se l’analisi dunque è quasi dappertutto identica, ortodossi e cattolici concordano anche sulle radici della crisi attuale. Non sono economisti, guardano alla realtà da una prospettiva diversa rispetto a quella degli indici economici e finanziari. E allora affermano che ciò che è in pericolo non sono le borse ma «è il cuore dell’uomo», perché questa crisi è anche figlia di una cultura del consumo e del profitto che ha tentato di «riempire un vuoto esistenziale con le merci», ovviamente non riuscendoci. È l’arcivescovo Athenagoras di Sinope (Patriarcato ecumenico) a sottolinearlo: «Nel mio Paese d’origine, il Belgio, circa sei persone ogni giorno si suicidano. Le persone muoiono di solitudine. Più che mai, la gente ha bisogno di dare un senso alla vita».
Le soluzioni? Vescovi e metropoliti hanno le idee abbastanza chiare. Intanto riportare al centro dell’economia l’uomo, che significa anche riappropriarsi delle dinamiche economiche per non lasciarle appaltate agli interessi di pochi, delle borse o delle grandi multinazionali. Altra strada da percorrere è quella di stringere la finanza all’economia reale e soprattutto al mondo del lavoro. E poi il grande tema della disoccupazione, perché il fatto che milioni di persone in Europa siano senza lavoro è molto più grave dell’aumento dello spread che interessa solo le borse e una parte marginalissima della popolazione.
Ma le Chiese non sono solo voce di povertà e di crisi. Sono anche luoghi in cui si sperimentano forme di imprenditoria alternativa e vie di consumo sostenibile e in cui si mette in moto la solidarietà. È un mondo che esiste e chiede di essere conosciuto. Sono questi luoghi oggi le grandi risposte alimentate dalla cultura cristiana alla crisi economica.