Le case crollano, la solidarietà aumenta
«Ho colto quello che vale nella vita: la famiglia, l’affetto dei tuoi figli e di tuo marito, la salute, mentre le cose materiali che prima avevano un valore elevato, ora improvvisamente non contano nulla». A parlare in questo modo è Monique, giovane mamma che incontro nel corso del pomeriggio trascorso a San Felice sul Panaro. Gli effetti del terremoto sono evidenti tanto negli edifici distrutti quanto negli occhi scavati delle persone. Sono tanti gli sfollati, ma sono ancor più tutti coloro che hanno ancora una casa agibile, ma non riescono ad entrare all’interno per via della paura, del terrore di un nuovo sisma.
Tra i cocci caduti e le pietre lungo le strade, cammino guidata da due ragazze: Maria e Ilenia mi conducono alla tendopoli allestita nella piazza del paese. «Questa era la rocca – mi dice Maria – dove in caso di pioggia ci riparavamo quando iniziava a piovere», ora tre torri non ci sono e l’antico edificio è pericolante e presenta vistose crepe su tutte le facciate. «Questo è il campo – indica Ilenia – dove veniamo a dormire la notte con i miei genitori». Non si tratta di uno spazio allestito, bensì di un luogo scelto dalla famiglia per fermarsi con la propria auto e trascorrere la notte provando a dormire: «in macchina riusciamo a riposare più che in casa», continua Ilenia.
E mi sembra di ripercorrere attraverso i loro racconti quegli interminabili 20 secondi della scossa delle 4 di domenica notte. «Io sono rimasta impietrita – dice Sara –; è stata mia mamma che mi ha presa per mano e mi ha portato giù dalle scale». E pensare che ora proprio Sara, ancora sotto choc per l’accaduto, si è scaricata un’applicazione sul suo smartphone che le permette di essere informata in tempo reale ogni qualvolta la terra torna a tremare.
La distruzione, la tragedia, la paura hanno già fatto il giro del mondo quando arrivo a San Felice, ma solo dal vivo ho potuto conoscere un anziano signore che porta una bottiglia di aranciata ad alcune ragazze che l’hanno aiutato nel sistemare la sua casa dopo il terremoto: si tratta di un piccolo gesto, ma nella zona dove mi trovo scopro che aiutarsi è diventato normale, la famiglia non è più intesa come piccolo nucleo formato da mamma, papà e figli, bensì è aperta ai vicini, agli altri condomini.
Affianco alla casa di Monique che con la sua famiglia si è “rifugiata” nelle ore diurne in garage, vive una signora – anche lei si è stabilita nel garage per accedere velocemente all’esterno dell’abitazione – che ha messo a disposizione la sua cucina da campeggio per preparare le pappe del piccolo Francesco; al di là della strada invece c’è qualcuno che ha approntato una postazione televisiva per distrarsi un po’ lungo l’arco della giornata.
A casa di Lucia e Giovanni – che vivono a San Biagio – oltre ai loro quattro figli arrivano in continuazione nipoti e amici. «Ieri sera – mi raccontano – eravamo in 17 a tavola; siamo contenti perché in questo modo vediamo i ragazzi un po’ più sereni, scherzano e giocano insieme e si distraggono, anche perché la paura è costante visto che le scosse ancora oggi continuano ad esserci».
Sono già in macchina, ho imboccato la strada per tornare a Parma e improvvisamente freno, alla mia destra stanno buttando giù una villetta: forse era pericolante, forse non era più possibile riparare le crepe presenti nei muri portanti; tra le macerie e la polvere che si è alzata vedo la famiglia che sta assistendo in diretta al crollo di quella che era stata fino a quel momento la propria casa. Desolazione dentro e fuori, non ci sono parole, eppure penso al patto stretto qualche minuto prima con Maria «non molliamo, possiamo anche oggi dalle macerie ricostruire le nostre città». A San Felice sono tutti pronti, c’è tanta voglia di rimboccarsi le maniche, la gente chiede sostegno alle istituzioni affinché si pensi soprattutto a ripristinare le aziende, i posti di lavoro, poi tutto il resto.
Torno a casa e di una cosa sono certa: tutti i gesti di solidarietà, che ho visto in prima persona o che mi hanno raccontato, testimoniano che è già in atto la ricostruzione di questa zona dell’Emilia. E i testimoni ci sono: Ilenia, Maria, Sara e… ancora tanti e tanti altri.