Le brioche per Yves
Ho telefonato a Madame Xavière per avere notizie di suo figlio: volevo incontrarlo. “Avvocato, è impossibile, non permettono che incontri nessuno”. “Le ripeto, signora, che voglio incontrare Yves oggi stesso”. “Va bene. Cercherò di recarmi all’ospedale alle 15. Starò un po’ con lui nella camera d’isolamento e poi chiederò di fare due passi in giardino. Alle 15.30 cercherò di portarlo nella caffetteria. Lì potrà forse incontrarlo “. Mi sono recato all’ospedale, come concordato. Yves era seduto con sua madre a un tavolino. Nelle mani avevo qualche pacchetto. Il primo, verde, racchiudeva una macchinina. Il ragazzo si è impossessato del regalo e lo ha scartato. Era felice di scoprire che le porte della vetturetta si aprivano. Poi gli ho preso nelle mie mani i suoi moncherini e gli ho detto all’orecchio: “Lo sai che ti voglio bene?”. Ha risposto con un breve grugnito. Ho allora ripetuto più chiaramente la mia frase guardandolo negli occhi, ed il grugnito si è protratto più a lungo. Madame Xavière mi ha confermato: “Ha capito”. Poi gli ho presentato un mazzo di carte che rappresentava re, santi e regine. Yves ha sparso le carte sulla tavola maldestramente. Sua madre avrebbe voluto raccoglierle meglio, ma io le ho suggerito di lasciarlo fare. Quindi gli ho presentato un carillon, ma la chiave di avvio non funzionava. Così Madame Xavière ha tirato fuori dalla sua borsa un piccolo flauto dolce, e Yves mi ha suonato in qualche modo Al chiaro di luna. C’era da commuoversi. Siamo restati così per una buona mezz’ora, tra lo stupore della gente, che ci guardava insistentemente: eravamo un trio strano. Un malato ci ha poi fatto il favore di riprenderci in foto. E la sera stessa ho lasciato alcune di queste nella buca delle lettere di Madame Xavière. L’indomani mi sono recato di nuovo all’ospedale. Questa volta non avevo portato come regalo una macchinina, ma un modellino di trattore. Aldo ormai sorrideva a bocca larga. E sua madre restava incantata dalla sua felicità. Sua sorella maggiore, che studia da infermiera, era pure presente, cosicché Yves era veramente attorniato di tenerezza. Era un Vip dell’amore. Qualche giorno dopo la mamma di Yves mi ha telefonato. Le infermiere avevano sentito il ragazzo cantare a gola spiegata nella sua stanzetta, tutta la giornata. Il suo cuore sembra essersi liberato. Anche la segreteria telefonica di Madame Xavière cominciava ad essere sempre piena di messaggi, e lei non si sentiva più sola. È passato ancora qualche giorno. Ho ricevuto una telefonata da Katarina, una ragazza che avevamo conosciuto con mia moglie una decina d’anni fa. Era prigioniera dell’eroina e percorreva avanti e indietro qualche metro quadrato di bitume in uno dei viali del centro. Un’altra storia. Katarina desiderava incontrarmi. Ci siamo dati appuntamento al bar della stazione. Non era cambiata; solo la sua pet- tinatura era di un taglio più moderno del solito. Desiderava raccontarmi molte cose. Ma gli hotel di fronte alla stazione le davano fastidio, perché le ricordavano tanti momenti tragici della sua vita. Ci siamo quindi trasferiti in un giardinetto molto più calmo. Le ho detto però che, prima di parlare, dovevo telefonare a dei clienti. Le ho quindi suggerito di leggere l’articolo su Yves pubblicato nella nostra rivista. Cosa che lei ha fatto. “Che bella idea che hai avuto di condividere con me quest’esperienza. Questa storia illumina di una luce diversa quello che volevo dirti”. Mi ha quindi raccontato un sacco di cose, aspirazioni, difficoltà, fallimenti, successi. Ha ripercorso la sua storia, da quando era in classe con mia figlia, passando poi per il padre che l’aveva “venduta” a un suo amico, la bimba che aveva dato alla luce e che le era stata tolta con la forza, la droga, la prostituzione. È a quel punto che l’avevamo incontrata di nuovo con mia moglie, e avevamo cercato in tutti i modi di rifarle una vita. L’avevo anche presa nel mio ufficio. Al terzo giorno non si era già presentata in orario. Io l’accolsi con un regalino, qualche ora più tardi, una sveglia accompagnata da un bigliettino: “Ti chiedo scusa perché non sapevo che non avevi chi ti faceva alzare la mattina “. Tra alti e bassi, rincorse e recuperi per riportarla ogni volta dal marciapiede nel centro di accoglienza dove l’avevano ricevuta, avevamo trascorso alcuni mesi di continue avventure. Poi era sparita. Ora Katarina stava meglio, e la vita cominciava ad esserle amica. È giovedì santo. Il giorno giusto per andare ad incontrare di nuovo Yves. È il giorno in cui bisogna lavare i piedi ai fratelli più deboli Sapendo che Yves andava matto per le brioche al cioccolato, gliene ho portate alcune. L’ho trovato che stava dormendo; o meglio, stava risvegliandosi nella sua misera stanzetta allo Psichiatrico con le sbarre alle finestre, un letto e una poltrona. Madame Xavière mi confermava: aveva avuto una crisi, e gli avevano somministrato delle forti dosi di calmante. Ma il profumo delle brioche è stato più forte delle medicine, e Yves si è risvegliato, ingoiando in poco tempo le prime due paste. Abbiamo guardato delle foto insieme, abbiamo parlato con la mamma, che ci ha raccontato come riusciva a sopportare le tensioni del lavoro e del figlio grazie alla poesia e alla musica. Yves era di nuovo calmo. E così sua madre, che temeva l’appuntamento che di lì a poco avrebbe avuto per stabilire il futuro del figlio con le autorità sanitarie del luogo. Il giorno seguente Madame Xavière mi ha comunicato che finalmente la commissione che seguiva il suo caso aveva accolto la sua richiesta di far ospitare Yves in un centro attrezzato per i casi come il suo. Una nota: la storia di Madame Xavière e di suo figlio Yves, scritta anche su questa rivista, ha fatto felici molti. Ho ricevuto tante lettere al proposito. Persone come Yves, infatti, ce ne sono ovunque, accanto a noi. Chissà: una persona anziana abbandonata da tutti, persino uno dei nostri figli, un uomo che non conosce l’amore di Dio