Le bombe senza legge
È durato 7 minuti e 9 secondi il discorso con cui il presidente Trump ha annunciato ieri sera (le tre del mattino per l’Italia) il lancio di missili Tomanech su obiettivi mirati a Damasco e nei pressi di Homs. Al suo fianco Francia e Regno Unito, entrambi convinti della necessità di rispondere all’attacco chimico della scorsa settimana a Douma che ha provocato una cinquantina di morti e più di 500 persone intossicate dal gas. L’azione dei tre alleati è stata definita dal presidente Usa «un forte deterrente contro la produzione, la diffusione e l’uso di armi chimiche», e nel suo discorso alla nazione non ha lesinato attacchi durissimi ad Assad, definendolo per le sue azioni un mostro, e alla Russia e all’Iran, nazioni che rischiano di essere «associate all’omicidio di massa di uomini, donne e bambini innocenti, se continuano a sostenere Stati canaglia, brutali tiranni e dittatori assassini».
Nel mirino del fuoco di parole di Trump finisce anche Putin, che «aveva promesso nel 2013 al mondo che avrebbe garantito l’eliminazione delle armi chimiche della Siria» e che a detta del presidente poco ha fatto. «Il recente attacco di Assad e la risposta di oggi – continua senza mezzi termini – sono il risultato diretto del fallimento della Russia nel mantenere questa promessa. La Russia deve decidere se continuare su questa strada oscura o se vuole unirsi alle nazioni civili come forza per la stabilità e la pace». Dichiarazioni che già nella notte provocano su Facebook l’immediata reazione dell’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, che annuncia “conseguenze” dopo gli attacchi e aggiunge che «insultare il presidente della Russia è inaccettabile e inammissibile», e gli Stati Uniti «non hanno alcun diritto morale di incolpare altri Paesi», possedendo essi stessi un vasto arsenale di armi chimiche.
Nell’attacco sferrato all’alba mirato a colpire un centro di ricerca scientifica nella capitale siriana, un deposito di armi chimiche e un impianto di stoccaggio delle stesse a pochi chilometri da Homs, ci sono tante contraddizioni giuriche. La prima è nella stessa Costituzione americana che nel primo articolo conferisce al Congresso i poteri di “dichiarare guerra” e finanziare tutte le forze armate impegnate in operazioni belliche, e nell’articolo II conferisce al presidente il “potere esecutivo” rendendolo “comandante in capo” dell’esercito, un potere che parecchi presidenti, e oggi anche Trump, hanno interpretato per agire senza l’espressa autorizzazione delle due Camere. E questo nonostante per molti giuristi sia in violazione con la decisione dei padre costituenti che prevedevano la guerra solo se la nazione veniva attaccata. Invece dopo l’11 settembre la libertà di decisione presidenziale si è molto ampliata e l’Autorizzazione per l’uso della forza militare, concessa dal Congresso e che doveva limitarsi al 2001 e 2002, è stata utilizzata ben 37 volte per giustificare attacchi contro il terrorismo. La scelta presidenziale chiude il dibattito anche all’interno del suo stesso partito che in alcuni suoi esponenti aveva mostrato ampia contrarietà al lancio missilistico.
Le bombe di questa notte sono state lanciate anche in aperta violazione della Carta delle Nazioni Unite che prevede l’attacco a una nazione senza il consenso Onu solo in due casi: l’autodifesa e la decisione comune del Consiglio di sicurezza. Nessuna di queste due clausole può ricondursi a quanto accaduto sul suolo siriano.
Il segretario dell’Onu, Antonio Guterres in questa settimana concitata, aveva chiamato gli ambasciatori dei 5 membri permanenti all’Onu per scongiurare un’escalation di tipo militare e si era mostrato indignato dal gioco di veti incrociati che aveva impedito all’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) di iniziare un’indagine che accertasse responsabilità e proprietari delle armi chimiche che avevano provocato l’orrore di Douma, perché la soluzione per la Siria «non può essere militare ma politica attraverso i colloqui intra-siriani a Ginevra, come previsto nella risoluzione 2254 (2015)».
Evidentemente le leggi e i tavoli diplomatici sono l’anello debole nella spirale della violenza che insanguina la Siria.