Le bombe hanno unito la città
Indomitable, indomiti, recita la prima pagina dell’Hindustan Times, una delle testate principali di Mumbai. Sono passati due giorni dalla strage provocata dalle sette bombe esplose in sequenza sulla linea ferroviaria che collega la metropoli indiana da Nord a Sud. Tutto è tornato come prima, esternamente sembra che nulla sia successo. Già la mattina successiva scuole, college ed uffici erano aperti. Crisfan, un giovane studente all’ultimo anno di College, mi ha telefonato: Sono a lezione. Non c’è molta gente per strada, ma negozi e uffici sono aperti. I treni funzionano. La vita a Mumbai è ripresa, immediatamente. Nell’aria, certo pesante, si respirava la tensione ed anche la paura, ma nessuno si è fermato. Il mondo sembra ormai abituato alle stragi da terrorismo: aerei, grattacieli, treni, metropolitane, New York, Madrid, Londra, Mumbai. È una guerra dichiarata che non ha confini e non ha latitudine; è globale come vuole la realtà del mondo d’oggi. Eppure ogni attacco colpisce persone, famiglie, situazioni uniche e lascia vuoti e ferite non solo nei corpi, ma in fondo all’anima. Mumbai non è nuova a queste situazioni. Nel marzo del 1993 erano scoppiate tredici bombe con decine e decine di morti ed erano seguiti scontri di religione che avevano aumentato il conto delle vittime. Due anni fa una auto-bomba era esplosa davanti al Gateway of India, simbolo della metropoli. Ma mai come questa volta l’attacco era mirato all’anima della città. Solo chi vive a Mumbai sa cosa vogliono dire i treni. Per milioni di persone sono una seconda casa: ci passano fino a quattro ore al giorno per attraversare una metropoli lunga 70 chilometri. I treni di Mumbai trasportano 6 milioni di persone ogni giorno, normalmente in condizioni disumane. Ogni convoglio porta fino a 6 mila persone, quando ne potrebbe trasportare al massimo 2 mila. Eppure tutti sanno che senza quei treni la vita sarebbe impossibile. Sono un punto nevralgico della vita sociale della metropoli. Sul treno si lotta per entrare e poi, una volta a bordo, per respirare, ma si deve combattere anche per scendere. Solo chi è nato qui o vi abita da anni conosce le tecniche che garantiscono un viaggio, per così dire, sicuro. I vagoni sono testimoni silenziosi della vita della gente. Ci sono i gruppi di amici che giocano a carte e sono sempre gli stessi, quelli che pregano e cantano inni religiosi e ribattezzano il convoglio Bhajan express, l’espresso dell’inno sacro. Spesso si fanno affari negli scompartimenti o si continua a lavorare soprattutto via cellulare e grazie ai laptop. Nelle vetture ri- servate alle donne, la sera, si comincia a cucinare la cena: ambulanti vendono infatti ortaggi e verdure varie a chi torna a casa e le donne cominciano a pelare patate, tagliare le carote e le cipolle, a pulire verdura e ingredienti vari per essere pronte a buttarle in pentola appena arrivano a destinazione. Sui treni nascono storie d’amore e si consumano drammi di gelosia. Spesso negli uffici le persone sono conosciute con l’epiteto che indica il treno con cui arrivano o con il quale partono, sempre lo stesso: Bandra local delle 18.15 o Andheri local delle 7.56. Il treno diventa quasi la carta di identità di ciascuno ed è, in un certo senso, il simbolo della metropoli. Per questo chi ha sferrato l’attacco ha mirato questa volta diritto al cuore della gente. Quando 13 anni fa una delle bombe era esplosa nella sede della Bombay Stock Exchange nessuno si era sentito ferito nell’anima, come pure quando l’esplosione era avvenuta nel 2002 davanti alla Porta dell’India. Questa volta è stato diverso: il terrorismo ha attaccato l’identità della gente e della metropoli. Ed è qui che e’ scattata immediata la reazione. Decine e decine di persone si sono riversate verso i punti delle esplosioni e, senza attendere polizia o ambulanze, hanno cominciato a soccorrere feriti ed assistere moribondi. La televisione ha mandato in onda immagini significative: molti dei soccorritori erano musulmani, chiaramente riconoscibili, nella folla dei volontari improvvisati. Era la risposta chiara alla violenza, che tutti, nel silenzio del cuore, sapevano da dove proveniva molto prima delle varie rivendicazioni. La gente delle case circostanti è scesa per strada a distribuire acqua e biscotti alle migliaia di pendolari chi erano rimasti bloccati nelle stazioni. Ci sono volute ore prima che i treni riprendessero a funzionare. Altri hanno accolto sconosciuti nella propria abitazione: soprattutto le donne erano oggetto di cura. Le barriere di religione, età e ceto sociale sono sparite. Tutti erano Mumbaikar, abitanti di Mumbai, prima di essere mussulmani, cristiani, indù, dirigenti, operai, pensionati. Il giorno dopo, girando per la città, si avvertiva una ferita profonda, che aveva portato una nuova ondata di solidarietà. Alla stazione di Churchgate, il capolinea della rete colpita dalle bombe, alle 7.30 di sera, un’ora di punta, quando per salire sul treno si combatte come per la sopravvivenza, un signore si è fatto da parte e mi ha chiesto se volevo sedermi: non mi era mai successo in 25 anni! Le bombe, quasi per ironia, sembrano aver accelerato il senso di fratellanza. Nei vari uffici si è pregato per i morti. Persino nella borsa dei diamanti, uno dei templi della ricchezza di Mumbai, dove le transazioni quotidiane sono di cifre da capogiro, tutti si sono fermati per ricordare e pregare per coloro che erano usciti la sera prima dagli uffici e non sono più tornati. Tutti sanno da dove le bombe sono arrivate e sanno che possono arrivare ancora: non sarà mai possibile controllare una metropoli di 17 milioni di persone che si accalcano su un imbuto di terra lungo 70 chilometri. e largo 15 nei punti più estesi della penisola. Tuttavia il terrorismo ha avuto una lezione: la vita può fermarsi, ma non muore neanche con duecento vittime. Stazione di Khar, una di quelle colpite dagli scoppi: studenti, appena usciti dal College, si accalcano in attesa del treno in arrivo, passanti si fermano e sbirciano, poliziotti vigilano, piuttosto sonnolenti a dire il vero, nell’aria impastata di umidità dai monsoni. Un uomo legge il giornale, seduto su una panchina in attesa del treno. Leggo sul retro un monito a tutta pagina: Terroristi, vi preghiamo, combattete pure la vostra battaglia, ma non uccidete gli innocenti. È il grido di una città-simbolo che ha già ripreso a vivere!