Le biciclette di Pechino
Il regista Wang Xiaoshuai ha trentasei anni ed appartiene alla Sesta Generazione del cinema di Pechino: quella del dopo Tienanmen, che punta al vero, scostandosi dalle metafore degli autori precedenti, e denuncia un vuoto culturale drammatico, anche se espresso con la pacatezza del miglior cinema cinese. È una storia di adolescenti a Pechino, oggi. Uno viene dalla campagna e fa il pony express. La mountain bike che si è comprata gli viene rubata e finisce a un coetaneo studente, che la vuole per frequentare gli amici e la ragazzina. Una trama che ricorda in qualche modo il capolavoro di De Sica, presentando come elemento comune la precarietà di una bicicletta: mezzo indispensabile nel passaggio da un modo di vivere contadino ad uno più moderno e dinamico. Ma esistono, poi, differenze profonde nello stile con cui è esposta una diversa problematica esistenziale e sociale. Wang Xiaoshuai non gioca con i sentimenti, che i personaggi, riservati e taciturni, manifestano poco o nulla. Eppure riesce a riprodurre esitazioni, timori, momenti sospesi. La recitazione è affidata soprattutto ai movimenti e alle espressioni, con lunghe pause senza dialoghi. Allora, anche i silenzi e i consueti rumori di fondo della città diventano significativi. È così che si percepiscono la bramosia, la voglia di rubare, l’ansia ormaiconsumistica. Ci affezioniamo a questi ragazzi, ma ci colpisce la loro delicatezza e vulnerabilità, perché le loro aspirazioni, non controbilanciate dai valori tradizionali, finiscono per possederli, senza che sappiano opporre resistenza. Questo fa sì che lo sfondo sociale venga in primo piano grazie alle loro azioni: ed è quando la violenza appare drammaticamente nelle aggressioni, soprattutto nella figura del teppista, che si attarda a picchiare un rivale o a sfasciarne la bicicletta. Il film, sgradito in patria ma premiato al festival di Berlino, sottolinea il momento delicato attraversato da un popolo che ha bisogno di ritrovare l’equilibrio interiore, che lo contraddistingueva. La vittoria del ragazzo campagnolo, che riporta a casa la bicicletta come un trofeo, testimonia come il regista parteggi per la cultura contadina, che non deve cedere di fronte a quella urbana. Ma traspare una preoccupazione più generale: lo studente che, all’apertura dimostrata nei confronti del rivale con l’accordo sull’uso della bicicletta, unisce il legame agli amici prepotenti, ricorda quanto si somiglino ormai i giovani di oggi, nel mostrare un vuoto che è di tutte le latitudini. Regia di Wang Xiaoshuai; con Cui Lin, Li Bin. Raffaele Demaria