Le “belle storie” di O’Brian
Ora che Russell Crowe ha deposto la divisa da gladiatore per indossare, in Master and Commander di Peter Weir, quella ottocentesca del capitano di fregata Jack Aubrey, è giunto il momento di far conoscenza con Patrick O’Brian, l’autore della fortunata serie di avventure marinaresche a cui appunto s’ispira questo kolossal di sicura presa. Erede di una gloriosa tradizione che annovera, tra i classici, autori del calibro di Cooper, Conrad e Melville, tra i contemporanei, accanto a un Forester, a un Golding e ad altri, un posto privilegiato merita certamente Patrick O’Brian (pseudonimo di Richard Patrick Russ), che si è creato un pubblico affezionato anche in Italia grazie alle avventure del capitano Aubrey e del suo amico Maturin, in corso di pubblicazione presso Longanesi e Tea. A cosa si deve tale fortuna? Al fatto che forse nessuno come questo “irlandese di nazionalità britannica”, come lui amava definirsi, ha saputo ricostruire – nella cornice storica della rivalità anglo-francese per il dominio dei mari – quell’insieme di consuetudini, sentimenti e reazioni psicologiche che della vita a bordo di un vascello da guerra faceva un microcosmo, un mondo a sé. Muovendosi con disinvoltura in questo mondo come se ci fosse nato e vissuto (grazie ad un immane lavoro scientifico di ricerca), O’Brian riesce a darci l’illusione di essere anche noi lì, sulla tolda di una nave, a condividere fortune e sfortune della coppia Aubrey-Maturin e del suo equipaggio. Come in un film, tant’è che quello con Crowe protagonista non aggiunge molto a quanto già può sperimentare il lettore. Semmai il gusto di confrontare le immagini sullo schermo con l’idea che s’è già fatta facendosi coinvolgere dalla narrazione. Nato nel 1914 a Chalfont St Peter, nel Buckinghamshire, ottavo di nove figli, O’Brian è morto a Dublino all’età di 85 anni, nel 2000. Scrittore prolifico fino alla fine, si era appassionato alla lettura durante una malattia ai polmoni contratta nel 1920, poco dopo la morte della madre, e ancora giovanissimo aveva pubblicato due libri nei quali già si rispecchiava la passione per la zoologia che, molti anni dopo, avrebbe caratterizzato il personaggio di Stephen Maturin, il medico- filosofo-naturalista alter ego del capitano Jack Aubry. Durante la Seconda guerra mondiale venne arruolato nei servizi segreti inglesi (attività di cui, ancora, c’è traccia nel personaggio di Maturin) e nel dopoguerra rifiutò un prestigioso incarico presso l’ambasciata inglese a Parigi per dedicarsi interamente al suo sogno: “Scrivere bei romanzi e raccontare belle storie”. Nacque così, attorno ai personaggi dei due amici, la saga di venti titoli dedicati alla Royal Navy. Nei quali accade di tutto, trattandosi di peripezie da un capo all’altro del globo. Ma dove non è esaltata l’azione fine a sé stessa; anzi, talvolta può accadere che essa ristagni, che l’autore si conceda spazi di attesa prima che un imprevisto giunga a sconvolgere il corso degli eventi. Come mai allora il lettore non si annoia e il suo interesse continua ad essere desto fino all’ultima pagina? È che O’Brian sa orchestrare bene la materia di cui dispone, con dati che senza appesantire spaziano – come è stato osservato – “dalla teologia alla musica classica, dalla politica al costume, dalla medicina alle scienze naturali: un gusto appassionato per la documentazione storica che diventa ricchezza del racconto, piacere della lettura ad alto valore aggiunto”. Sapendo che l’uomo è lo stesso in ogni epoca, lo scrittore ce ne mostra pregi e miserie con un pizzico di indulgenza e molta ironia, da bravo anglosassone: vedi le schermaglie tra i suoi due eroi, tipi fra loro diversissimi: Jack leale, temerario, solare e tutto d’un pezzo, innamorato del mare e della sua nave; e Maturin, l’uomo di scienza svagato (ma non immune da patemi amorosi), che col mare non ha tale viscerale rapporto, e condivide la sorte dell’altro solo in quanto amico e perché, navigando, ha modo di soddisfare la sua insaziabile sete di conoscenze scientifiche. Entrambi uniti però dalla stessa passione per la musica classica. Sì, l’amicizia è il vero fulcro dei romanzi di O’Brian, insieme alla lealtà, al senso del dovere, al coraggio, tutti valori universali che, insieme all’abilità narrativa, spiegano il successo internazionale di critica e di pubblico incontrato da questo autore. Oggi assistiamo ad un revival della letteratura storico-marinaresca e ad un prolificare di scrittori in questo genere; a volte però, dietro gli stereotipi avventurosi, traspare l’intento dell’autore moderno di accattivarsi il pubblico con ingredienti di facile presa: sesso e violenza. Non è il caso dell’onesto O’Brian: lui non ha bisogno di maschere, si è “trasferito” al tempo dei suoi racconti e lì ci conduce. Scrive per puro piacere intellettuale e gode nel far partecipi gli altri delle “belle storie” che costruisce. Riallacciandosi alla grande tradizione ottocentesca, sembra dire: scommettiamo che sono capace anch’io di scrivere un romanzo come quelli? E il bello è che ci riesce.