Le basi italiane e la guerra in Siria
Sul caos in Siria e le strategie in corso in Medio Oriente abbiamo posto alcune domande al professor Maurizio Simoncelli, confodatore dell’Istituto di ricerche internazionali archivio disarmo.
Cosa accade in Siria?
Il conflitto siriano, come è noto, non è solamente uno scontro interno tra governo, forze ribelli e quel che rimane dell’Isis, ma è divenuto una guerra internazionale a cui partecipano attivamente sia le grandi potenze Usa e Russia, ma anche quelle regionali, dalla Turchia all’Iran, dall’Arabia Saudita ad Israele sino agli Hezbollah libanesi. Ognuno ha interessi diversi: la Russia sta dimostrando la forza del suo nuovo ruolo sulla scena mondiale, l’Iran la sua proiezione di potenza regionale (contrastata dall’Arabia Saudita), Israele la sua storica avversità al regime di Assad anche in relazione all’occupazione strategica delle alture del Golan, la Turchia la sua ferma volontà di stroncare ogni possibile iniziativa d’indipendenza dei curdi anche fuori dai propri confini, gli Hezbollah libanesi l’interesse a tener aperto il corridoio siriano fondamentale per il sostegno iraniano alla loro organizzazione, e così via.
Come si spiega la posizione di Trump e quella di Putin?
Trump, in forte difficoltà anche in politica interna (vedi il Russiagate) e in ambito commerciale (il suo protezionismo sta suscitando malumori anche presso gli alleati), prosegue la dimostrazione muscolare già esercitata contro la Corea del Nord e approfondisce il livello della seconda Guerra fredda contro Mosca, peraltro già avviata nei fatti in epoca Obama con lo stanziamento di basi antimissili ai confini della Russia. Quest’ultima ha mostrato di esercitare un nuovo ruolo sulla scena mondiale e il summit ad Ankara tra Putin, Erdogan e Rohani di pochi giorni fa lo ha confermato. La risposta di Trump – che ha già da tempo annunciato un aumento considerevole delle spese del Pentagono con ulteriori 54 miliardi – è stata quella di voler esercitare unilateralmente le funzioni di guardiani della sicurezza mondiale, salvo poi cercare comunque un appoggio quantomeno politico tra i suoi alleati più fidati, in particolare Gran Bretagna e Francia. Il concetto di America first prevede che non ci siano altri potenziali competitor sulla scena mondiale, ma solo alleati affidabili o avversari. Il Medio Oriente è l’area geopoliticamente strategica dove questo scontro d’interessi si realizza da anni. La vicenda irachena prima, quella libica poi e più recentemente quella siriana ne rappresentano le principali tappe con il caos conseguente, che attira ben un terzo delle esportazioni mondiali di armi e munizioni. Si individua un regime autoritario, si interviene militarmente per tappe successive, ci si spartisce poi le ricchezze (petrolio e gas in primis) del Paese in questione. Il fatto che poi le popolazioni siano coinvolte in bombardamenti con esplosivi convenzionali o chimici, costrette a massicci esodi e quant’altro fa parte dei cosiddetti “danni collaterali”, che poco interessano i vari lord of wars.
Cosa può fare il nostro Paese?
Il premier in carica Gentiloni, pur affermando un generico impegno per la pace, ha dichiarato la disponibilità logistica delle basi italiane – soprattutto Aviano e Sigonella – per eventuali attacchi che gli Usa e gli alleati disponibili potrebbero portare in Siria. Va sottolineato che questo non è dovuto come atto di solidarietà tra alleati Nato, tanto che la Germania della Merkel si è rifiutata di partecipare. Non va dimenticato che la formula della disponibilità logistica al conflitto fu usata anche per la guerra contro Gheddafi, contro cui solo poi si seppe che in realtà l’aeronautica italiana aveva partecipato con ben 710 bombardamenti. Teoricamente l’Italia avrebbe il potere di negare l’uso delle sue basi, ma da decenni e con governi di diverso colore svolge il ruolo di piattaforma avanzata nel Mediterraneo per l’azione militare dell’alleato statunitense. La base siciliana di Sigonella (da dove operano anche i droni militari) è divenuta in tal senso di fondamentale importanza non solo per l’area mediterranea, anche anche per il Medio Oriente e il Nord Africa. Al di là delle enunciazioni sulla pace, occorre analizzare i fatti che dicono ben altro.