Le baruffe della gelosia negli Innamorati di Goldoni
L’incostanza dell’amore. L’insicurezza che logora i sentimenti. Ma soprattutto la paura. Sembra essere questo il nocciolo de “Gli innamorati” testo anomalo nella produzione goldoniana, una storia senza storia che è un piccolo capolavoro di psicologia della passione amorosa giocata sulla gelosia dei due protagonisti, Eugenia e Fulgenzio.
I due avrebbero tutto per andare d’amore e d’accordo e invece non fanno altro che litigare e lasciarsi nonostante gli inutili tentativi dell’avveduta sorella di lei che cerca continuamente di ricondurla alla ragione ogni volta che Fulgenzio appare in casa ma si ripete il copione: dopo la gioia l’inevitabile rissa. Assistiamo alle esasperate schermaglie sentimentali, appunto, tra Eugenia, acida, sospettosa, iperpossesiva, irragionevole, e il suo Fulgenzio, quasi altrettanto puntiglioso quanto innamorato, figura decisamente patologica in quel quieto mondo di buonsenso borghese, basato sull’interesse economico.
Tutto si svolge nella casa dello zio di lei, megalomane in rovina e visionario, luogo che lo scenografo Maurizio Fercioni rende con le pareti un po’ erose e un grande tappeto logoro a terra delimitato da una fila di candele. A segnare questa bellissima messinscena di Andrée Ruth Shammah, con la drammaturgia di Vitaliano Trevisan (spettacolo del 2014, oltre la centesima replica, che continua con successo la sua tournèe anche quest’anno), è la dimensione metateatrale, con gli attori che, rivolgendosi al pubblico, commentano le azioni, pensano, si interrogano, mettendo così in rilievo la finzione e la natura illusoria della rappresentazione, con la spiegazione di un narratore che entra ed esce dalla platea, interpretando lo stesso Goldoni. Un “teatro nel teatro” con azioni a vista e alcuni che entrano ed escono dai loro ruoli per assumerne altri attingendo a degli appendiabiti con un nutrito guardaroba posto ai lati della scena. Tutto all’insegna di una leggerezza esemplare data anche dal bianco dei costumi.
Se il regista Massimo Castri in una celebre edizione de “Gli innamorati” ne aveva fatto un distillato di temperatura emotiva, con un tempo rallentato, quasi musicale, che lo contraddistingueva, Shammah ne fa una commedia dal ritmo febbrile, in equilibrio tra classicità e contemporaneità, raffinata e divertente, con un chiaro riferimento all’atmosfera del teatro di Strehler.
L’immobilità di una situazione (quella della gelosia) destinata ad avvitarsi su se stessa, a ripetersi in un dinamismo che è soltanto interiore, la regista la racconta con vistosa e aggressiva freschezza, imprimendo agli interpreti una recitazione quotidiana, ironica, che sa arrivare in profondità. La racconta anche grazie ad un meraviglioso gruppo di attori, tra cui spicca l’Eugenia adolescenziale di Marina Rocco, tutta gesti, nevrosi, vocine, grida rabbiose, isteriche, e sussurri d’amore. E con lei, bravissimi, Matteo De Blasio (Fulgenzio), Alberto Mancioppi, Roberto Laureri, Elena Lietti,Silvia Giulia Mendola, Marco Balbi, Andrea Soffiantini.
“Gli innamorati”, di Carlo Goldoni, regia Andrée Ruth Shammah, scene e costumi Gian Maurizio Fercioni, luci Gigi Saccomandi, musiche Michele Tadini.Produzione Teatro Franco Parenti. A Roma, Teatro Vascello fino al 17/4; a Napoli, Teatro Mercadante, dal 3 all’8/5.