Le bambine al potere

Nascere femmine è ancora un grave handicap in troppi luoghi del pianeta. Cosa accadrebbe se tutte le bambine potessero accedere ai loro sacrosanti diritti, come semplicemente andare a scuola? Anche se ancora poco più che episodici, si intravvedono segni di speranza

É stato solo per un giorno, ma che in un piccolo Paese oltre ottomila bambine siano ministre, presidente della Corte Suprema, sindaci, presidi, direttrici di enti pubblici e Ceo aziendali, fa comunque colpo. È successo in Paraguay e, simultaneamente, in altri 69 paesi.

La campagna “Bambine al potere!”, al di là di un giocoso slogan e dell’allegria “seria” che sprizzava dagli schermi dei notiziari e dalle reti sociali, dà almeno una bella iniezione di autostima – e, soprattutto di visibilità – a migliaia di piccole potenziali leader di domani.

«È un “contentino” che non serve a nulla», dicono gli scettici, «una bella foto calma-coscienze che autorizza autorità e cittadini a guardare da altrove negli altri 364 giorni dell’anno».

Ma si è trattato di tutt’altro che un’attività improvvisata. Ha messo in contatto diretto tantissime ragazzine con i leaders della società, coi quali hanno dialogato e ha offerto una conoscenza indimenticabile delle strutture dell’organizzazione della società che domani dipenderà anche da loro.

E poi senz’altro non abbasseranno la guardia le numerose organizzazioni della società civile che coordinano con istituzioni pubbliche e private l’impegno di assicurare migliori prospettive alle donne di domani.

L’iniziativa è una delle tante che si svolgono ogni 11 ottobre, data dichiarata nel 2012 dall’Onu Giornata Internazionale della Bambina. L’edizione di quest’anno ha messo l’accento sulle pari opportunità e sull’empowerment.

Sono ancora troppi, infatti, i luoghi dove nascere bimba è già partire in svantaggio.

Sposarsi e/o essere madri in età scolare, spesso in modo forzato o comunque non pienamente libero,  è vedersi troncare ogni possibilità di istruzione, con la conseguente dipendenza dall’uomo e l’impossibilità di accedere a diritti fondamentali.

Il maschilismo, duro a morire, sfocia troppo spesso in violenze fisiche o psicologiche e il lavoro domestico infantile nasconde molte volte una mai estinta forma di schiavitù.

Per non parlare delle situazioni limite della tratta di persone, delle mutilazioni genitali e dell’impossibilità di andare a scuola per motivi culturali, economici o perchè costretti a scappare dalle guerre. 535 milioni di minorenni crescono in mezzo a conflitti, disastri naturali o emergenze umanitarie di vario tipo (dati Onu 2016). Rappresentano un quarto dei bambini di tutto il mondo, e più della metà di loro sono bambine. Tre quarti vivono nell’Africa subsahariana. L’altro quarto appartiene quasi nella sua totalità a Paesi asiatici o sudamericani.

E «in situazioni di conflitto, le bambine hanno 2,5 volte più possibilità di essere tolte dalla scuola», afferma Leila Pakkala, direttrice Unicef per l’Est e il Sud dell’Africa. Il Sudan del Sud e la Somalia sono le nazioni messe peggio.

Il giorno in cui si è stabilita la giornata mondiale, in sede Onu si affermava che «frequentemente, nei villaggi, nei quartieri marginali e nei campi profughi di tutto il mondo, le bambine sono discriminate: non ricevono alimenti nutritivi, cure mediche né un’istruzione di qualità, e sono esposte alla violenza sessuale».

In alcuni Paesi, come Afganistan, India e Pakistan, persistono poi tradizioni tribali per le quali il villaggio intero celebra la nascita di un bimbo mentre tutto tace quando nasce una femmina, in segno di solidarietà per la “sventura” che ha colpito la famiglia. L’ha raccontato anche Malala Yousafzai, Nobel per la Pace 2011, che ha lottato per l’istruzione femminile ed ha aiutato a cambiare questa percezione. Un ginecologo indiano, Ganesh Rakh, ha cominciato a prestare gratuitamente i suoi servizi quando si tratta di dare alla luce una bimba ed a regalare fiori e dolci alle madri, ed è stato poi imitato da ben 17.000 colleghi, ostetriche ed infermiere che applicano quantomeno una tariffa ridotta per rafforzare il cambio culturale.

Ques’anno, come detto, la Giornata mondiale ha puntato all’educazione e sulla formazione.

Secondo l’organizzazione One, fondata dal cantante degli U2 Bono, che quest’anno ha attivato la campagna “la povertà è sessista” per sensibilizzare appunto sulle carenze dell’istruzione femminile, 130 milioni di bambine in età scolare non hanno accesso all’istruzione nel mondo.

Oltre 120.000 persone, “condotte” da 81 celebrità, hanno firmato una petizione promossa da One che chiede alle autorità mondiali di finanziare via crowfunding l’organizzazione Global Partnership for Education come parte della soluzione al problema.

E One incoraggia dicendo che “c’è speranza”, con questi dati:

  • Dal 2000 al 2013, nell’Africa subshariana 60 milioni di bambini in più si sono iscritti alla scuola, grazie all’alleviarsi dei debiti, all’assistenza per lo sviluppo e l’istruzione dei rispettivi governi.
  • I Paesi poveri non sono destinati a gestirsi male. Il Burundi ha l’ingresso pro capite più basso del mondo, ma supera 18 Paesi più ricchi di lui (negli indicatori sull’istruzione femminile).
  • Quanto più bambine e ragazze vanno a scuola, meno probabile è la maternità adolescente, con grandi benefici, poiché le donne che attendono i 18 anni sono meno soggette a rischi per la salute e sono spesso in grado di accudire meglio i loro figli.
  • Frequentare la scuola fa la differenza. Occuparsi dell’inequità tra maschi e femmine nell’educazione a livello mondiale potrebbe generare entrare tra i 112 e i 152 miliardi di dollari nei paesi in via di sviluppo.

Secondo l’Onu «l’impegno di investire sullo sviluppo di abilità e sulla formazione delle bambine, anche diretto alla possibilità di potersi mantenere grazie al loro lavoro nel futuro» è un guadagno per tutti. Sono circa 1,1 miliardi le bambine in tutto il pianeta. Un popolo fresco e allegro, pieno di energia e creatività che, come osserva ONU Women, «compie diversi ruoli in casa, nella società e nell’economia». Le bambine «vanno a scuola, aiutano in casa, lavorano in fabbrica, fanno amicizie, si prendono cura dei membri della famiglia più piccoli e più grandi e si preparano per assumere le responsabilità dell’età adulta».

Ma noi adulti dobbiamo occuparci di loro.

 

 

 

 

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