Le armi, sempre le armi
L’Italia annuncia che userà «razzi di precisione su obiettivi mirati» contro l’esercito di Gheddafi. Lo sconcerto del vescovo Martinelli
E così anche l’Italia ha deciso di scendere in campo con i propri mezzi militari per risolvere una “guerra” dichiarata con troppa fretta e proseguita con decisioni d’impeto di strateghi militari e politici di alcune nazioni europee. Si pensava che la questione sarebbe stata risolta in pochi giorni, massimo qualche settimana, ed ora ci si ritrova con un conflitto di cui non si riesce ancora a vedere la fine.
Sin dalle prime battute avevamo espresso su queste colonne dieci perplessità, tra cui quella di non poter prevedere l’esito del conflitto e soprattutto la sua durata. Timore puntualmente confermato dai fatti. Oggi la dichiarazione del governo, forse dettata anche dall’appuntamento odierno tra Sarkozy e Berlusconi, pare proseguire in una logica non lungimirante.
Il vescovo di Tripoli, mons. Giovanni Martinelli non riesce a nascondere la sua «profonda tristezza per una decisione che contribuirà solamente a peggiorare la situazione. Non riesco a capire la logica che sta dietro all’intervento odierno, non riesco a capire come si possa riuscire a risolvere il problema libico con qualche missile in più». Ed esprime seri dubbi sul fatto che Gheddafi possa essere eliminato in questo modo. «La situazione della popolazione – continua con calore – peggiora di giorno in giorno, e la penuria comincia a farsi sentire, soprattutto per quanto riguarda la benzina», ammette Martinelli. Il quale elogia «la straordinaria compattezza della comunità cattolica, in particolare dei filippini, che non cessano di servire la pace».
Soprattutto, e questo ci preme riaffermarlo, colpisce ancora la mancanza di prospettiva nella vicenda libica, l’assenza di una visione e una strategia europee: solo le armi paiono capaci di dirimere una vicenda nella quale invece sarebbe stato utilissimo e indispensabile usare le armi della diplomazia e del convincimento. Tra l’altro colpisce il fatto che si consideri quello libico come un caso a sé stante, senza collegamenti con quanto sta avvenendo negli altri Paesi nordafricani e arabi in genere. La considerazione positiva dell’Europa in tali Paesi, purtroppo, sta rapidamente calando.
Speriamo solo che ora non ci si trovi con un nuovo Afghanistan alle porte di casa. E che l’ulteriore passo non sia quello dell’intervento delle truppe di terra.