Le armi di una politica di pace, intervista a Paolo Ciani

Paolo Ciani è l’unico deputato del gruppo dem alla Camera ad aver votato contro l’invio di armi in Ucraina. Siamo davanti «ad un forte regresso culturale con il prevalere di una visione fortemente bellicista», secondo l’esponente di Democrazia Solidale invitato ad intervenire il 26 maggio a Bologna assieme al cardinale Matteo Zuppi ad un’iniziativa promossa ogni anno in prossimità della festa  della "Repubblica che ripudia la guerra"
Paolo Ciani
Europe for peace. Roma Foto LaPresse

Paolo Ciani è il segretario nazionale di Democrazia Solidale, formazione politica della cui identità e prospettiva abbiamo avuto modo di parlare con Mario Giro, grande esperto di politica internazionale, già viceministro degli Esteri ed esponente di questa sigla partitica di esplicita ispirazione cristiana presente in maniera autonoma a livello locale ma che, finora, sul piano nazionale ed europeo è presente con suoi candidati all’interno delle liste del Partito democratico.

Ciani è dunque un deputato del gruppo del Pd e, in tale ambito, è stato l’unico ad aver votato contro il decreto del governo che autorizza l’invio di armi per tutto il 2023 a sostegno dell’esercito ucraino nella guerra che dura ormai dal 24 febbraio 2022, data dell’invasione russa decisa dal presidente Putin al culmine di uno scontro che dura dal 2014.

Una scelta di dissenso dalla linea prevalente adottata dal Pd senza soluzione di continuità dalla segreteria di Enrico Letta a quella attuale di Elly Schlein. Altre voci di dissenso si sono espresse con la mancata presenza in aula o l’astensione. Quella di Paolo Ciani è quindi una posizione singolare che lo porta ad essere anche l’unico parlamentare ad intervenire alla manifestazione del 26 maggio a Bologna promossa come ogni anno dalle associazioni riunite nel Portico della Pace” per la “festa della Repubblica che ripudia la guerra”. Oltre al segretario di Democrazia Solidale, interverranno tra gli altri anche il cardinale di Bologna Matteo Zuppi, investito da papa Francesco nell’iniziativa di pace in Ucraina, e Marco Tarquinio che da quando ha lasciato la direzione del quotidiano Avvenire, espressione della Cei, è ancora più attivo nei dibattiti e nel sostegno alle iniziative per fermare l’escalation bellica nel centro dell’Europa. Nella tavola rotonda organizzata per il 26 maggio a Bologna con il titolo “Guerra impotente, debole politica. Dalla vita delle città la forza della pace” si chiede a Paolo Ciani di parlare delle “armi della politica”.

Cosa l’ha spinta a votare contro l’invio di armi in Ucraina?
È una scelta che ho fatto con una grande consapevolezza tenendo conto che faccio parte di un gruppo parlamentare che ha votato in un altro modo. In molti dei miei colleghi esiste come una sorta di ineluttabilità del voto dovuta al fatto che si è fatto così dal primo momento ed è giusto continuare a fare così. Ma le cose cambiano. Quello che era vero un anno fa non è detto che sia vero oggi, dopo un anno di guerra, dopo che le cose sono andate in un certo modo; quindi anche decidere che visto che si è sempre fatto, bisogna continuare a farlo, non è una posizione che posso condividere. I conflitti contemporanei hanno dimostrato come la guerra sia uno strumento superato e sbagliato.

(AP Photo/Efrem Lukatsky)

La fornitura di armi protraggono e non fanno terminare i conflitti e noi viviamo in un’epoca che purtroppo conferma questa realtà. In Siria sono 12 anni che c’è la guerra: quando è scoppiata, dopo un primo periodo tutti pensavamo fosse una follia destinata a terminare in poco tempo. Nel frattempo abbiamo assistito all’ utilizzo delle armi chimiche, alle stragi delle minoranze e alle violenze sulle donne. Tutte atrocità a cui l’opinione pubblica rischia di abituarsi e nel tempo considerare una normalità. Ma non è normale quello che è accaduto in Afghanistan, come non è normale quello che è accaduto in Somalia, come non è normale quello che sta accadendo nello Yemen, in Sudan e in tanti Paesi in cui c’è la guerra.

Possiamo accettare di sostenere militarmente una guerra eterna contro una potenza atomica? È folle pensare di poterla vincere in termini militari come qualcuno oggi ci dice sostenendo la tesi per cui l’unica soluzione possibile per l’Ucraina è quella di una vittoria militare. Sappiamo tutti che non sarà così ed è invece possibile uno scontro nucleare di annientamento. A nulla serve aggiungere il temine “tattico” quando si parla di tali armi nucleari.

Come si spiega la diffusione di queste tesi?
Dobbiamo riconoscere che assistiamo ad un forte regresso culturale con il prevalere di una visione fortemente bellicista. Io sono figlio di una generazione che non ha conosciuto la guerra. Ce l’hanno raccontata i nonni, mentre noi siamo nati e cresciuti in un ambiente e una cultura che ci ha portato a fare le manifestazioni contro la guerra in Iraq, seguendo l’insegnamento di Giovanni Paolo II, nella certezza di essere parte di una comunità europea costruita su questi presupposti. Oggi, invece, sentiamo dire tutti i giorni che è giusto fare la guerra. Si parla di armi come se fossero elettrodomestici o autovetture, per cui i giornali ci spiegano quali sono, ci fanno familiarizzare con le armi, ci fanno sembrare normale che ci siano le armi. Ma no, tutto questo invece non è normale dal punto di vista della mia cultura, della nostra cultura, della cultura che vorrei per il mio Paese e per l’Europa.  Le armi per noi non sono normali, non siamo gli Stati Uniti, dove sono in molti a possedere e a usarle anche nei fatti tragici che sappiamo. Non può essere normale e non voglio che diventi per noi normale inviare armi in un Paese in guerra. Senza dimenticare l’anomalia del voto avvenuto in Parlamento.

In che senso si tratta di una grave anomalia?
Viviamo poi una forte contraddizione politica perché il Parlamento italiano ha autorizzato il governo italiano per un anno intero, fino a dicembre 2023, a mandare armi in Ucraina senza prevedere di ripassare in Camera e Senato. Non sappiamo poi quali e quante armi vengono inviate. Non è normale e neanche giusto in una democrazia.

Come considera l’appello di Mario Primicerio a dire con forza “Ora basta!”?
Condivido profondamente l’invito fatto da Mario Primicerio di puntare politicamente e diplomaticamente al cessate il fuoco senza condizioni. Occorre dire “basta” di fronte alle armi per contrastare l’idea che la pace sia dei deboli, sia dei fessi sia degli stupidi. È inaccettabile quel ridicolizzare l’interlocutore che oggi va tanto di moda senza capire un fatto fondamentale e cioè che la pace si fa con i nemici. Con chi altro? È questa è l’unica strada.

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Dobbiamo tener presente che i parlamentari che hanno portato alla nostra Costituzione e all’articolo 11 di ripudio della guerra erano in buona parte partigiani che avevano fatto la guerra, imbracciato le armi, probabilmente ucciso e visto morire arrivando, poi – forse proprio per questo – da padri costituenti, a dire “Mai più!”. Dobbiamo rimettere al centro del nostro impegno questa riflessione comune. Io credo che nella nostra popolazione questi sentimenti siano maggioritari. Sono tragicamente minoritari in ambito parlamentare. Dobbiamo dirlo con grande franchezza.

Perché ci troviamo in questa situazione?
I motivi potrebbero essere tanti. Esiste una forte tendenza al conformismo, ma questo non toglie il fatto che compito di ognuno di noi sia quello di ridestare non solo la discussione ma anche le coscienze.  È un lavoro che dobbiamo portare avanti con i parlamentari europei, non solo del Parlamento europeo, ma con gli eletti nei parlamenti nazionali. Il problema non è la contrapposizione tra chi vuole la guerra e chi vuole la pace, ma quello di trovare delle vie realistiche su cui lavorare. A partire dalle proposte di negoziazione già avanzate da Papa Francesco, dalla Cina ma anche dal Brasile e in generale da chiunque prova a dire che esiste un’altra strada oltre quella della guerra e della vittoria militare che ad oggi sembra l’unica strada portata avanti dai governi. Fino ad accettare di andare incontro a situazioni estreme non più controllabili.

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