Le armi, Francesco e la menzogna di Caino
8 settembre 2013. Mentre papa Francesco si affaccia su piazza San Pietro per lanciare l’appello all’unica guerra giusta da combattere, quella contro la logica fratricida, nel vicinissimo Mar Mediterraneo orientale sono ormai arrivate quattro navi statunitensi armate di missili cruise e sono attrezzate all’uso le basi messe a disposizione da Turchia, Emirati e Arabia Saudita.
Come dicono da tempo gli esperti siamo realmente a un passo dalla guerra mondiale. Secondo un certo detto ricorrente, l’elezione di un papa gesuita sarebbe stata la prima avvisaglia della fine del mondo. Papa Bergoglio, nel suo primo saluto, ci ha detto in maniera più rassicurante di venire da lontano, quasi dalla «fine del mondo», ma l’umanità intera è incredula e stordita dagli ultimi avvenimenti. È come una gigantesca opera di rimozione che paralizza nell’azione di protesta le stesse coscienze che nel 2003 si sono mobilitate per manifestare contro l’ennesima guerra inutile, quella dell’Iraq. L’assuefazione alla guerra si accompagna allo scetticismo sulla pretesa verità spacciata per giustificarla. Il caso recente dell’operazione in Libia è eclatante e inquietante.
Davanti all’abisso, il vescovo di Roma continua a parlare sempre più chiaro, in maniera che nessuna cautela diplomatica può distorcere. Nella preghiera del mezzogiorno domenicale ha esposto una domanda retorica, che ha già in sé la risposta: «Questa guerra di là, quest’altra di là – perché dappertutto ci sono guerre – è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale? Questi sono i nemici da combattere, uniti e con coerenza, non seguendo altri interessi se non quelli della pace e del bene comune». Francesco ha parlato di «odio fratricida e delle menzogne di cui si serve».
Il grido di Francesco, nella sua apparente debolezza (sempre attuale la domanda di Stalin: «Quante divisioni ha il papa?») è destinato ad incidere nelle coscienze delle persone, ma non può non sollecitare una consapevolezza politica. Merita in queste ore, dove tutto sembra sospeso dal voto del congresso Usa, rileggere il testo di Igino Giordani, Inutilità della guerra, riedito da Città Nuova assieme a un recente piccolo libro di un militare esperto di strategia come il generale Fabio Mini, Perché siamo così ipocriti sulla guerra? In un lucido sguardo retrospettivo della storia è facile cogliere il collegamento strutturale tra guerra e menzogna, perché «la prima vittima della guerra è la verità».
Parole dure che lasciano senza scampo davanti alle responsabilità che ci riguardano direttamente. Ad esempio, da fine agosto, dati alla mano, l’Opal (Osservatorio permanente armi leggere e politiche di sicurezza e difesa) ha documentato l’enorme aumento dal 2001 di esportazioni di armi “leggere” dall’Italia verso i Paesi confinanti con la Siria. Se dopo una denuncia così circostanziata non si riesce a invertire la rotta e immaginare una diversa politica produttiva e commerciale, finiamo per accettare lentamente la banalità dell’orrore mentre il mondo che deve finire, secondo “Pietro”, è quello di Caino.