Le angosce di Re Ruggero
Bene ha fatto l’Accademia di Santa Cecilia in Roma ad aprire la stagione sinfonica con un lavoro pressoché sconosciuto al pubblico, cioè Re Ruggero: tre atti del maggior compositore polacco del secolo scorso, Karol Szymanowski.
L’opera, la cui “prima” fu data a Varsavia il 19 giugno 1926, è un poema di stile “decadente” (non in senso negativo) che risente dell’atmosfera culturale e musicale di quegli anni. Le suggestioni da Wagner a Debussy, dal gregoriano a Chopin, dalla musica folcloristica a Richard Strauss sono evidenti, ma rappresentano forme di cui il musicista si serve per narrare la complessa vicenda del re normanno Ruggero, che in terra di Sicilia – molto amata dal compositore – vede arrivare a corte un profeta-pastore, dapprima condannato, che poi riesce ad ammaliare la moglie del re e la gente, tanto che il sovrano rimane smarrito di fronte alla forza di questo personaggio, che è Dioniso. E qui il riferimento a Le Baccanti di Euripide è chiaro.
L’intreccio tra una religiosità panteistica e sensuale e una struttura sociale ordinata provoca tensioni, come a dire che un carisma innovativo deve sempre scontrarsi con l’istituzione, generando sofferenza.
L’argomento sollecita la fantasia di un musicista assai colto come Szymanowski, che si allarga in una orchestrazione sontuosa, ricca di citazioni – come si diceva -, ma originale nell’assumere ogni “ricordo” altrui per comporre un lavoro svelto, grandioso, dove il coro diventa un personaggio di spicco insieme ai protagonisti, le cui arie e i recitativi risultano quanto mai incisivi nella tessitura vocale efficace, ma ardua, grazie ai continui cambi di “tempo”.
È dramma, meditazione, sogno: quasi fossimo in un D’Annunzio musicale dove si oscilla tra angoscia (del re) e misticistimo panico.
Il direttore d’orchestra Antonio Pappano, che ama questo lavoro, l’ha riproposto in una versione smagliante. L’orchestra, innanzitutto: il suono dei violini primi ha raggiunto una finezza di seta insieme agli altri archi, ma anche ai fiati (i corni intensi) e ai legni melodiosi. Uno stato di grazia, mediante il gesto (con la bacchetta, questa volta) suscitatore di sonorità ora tenui ora prorompenti di un direttore che fa cantare tutti e ama il canto. Perciò dona respiro al cast perfetto: il baritono Lukasz Golinski (Ruggero), il tenore slanciato Edgaras Montvidas (il pastore), il soprano Lauren Fagan (Rossana), il basso profondo Marco Spotti (l’arcivescovo).
Suggestive la regia in presa diretta e le proiezioni video Masbedo, anche se non sempre chiare, ma che non hanno disturbato una musica fascinosa ed eloquente, di estrema raffinatezza.