Le ali stanche
Nell’anno del centenario del primo volo, effettuato dai fratelli Wright il 17 dicembre 1903, cosa succede nei nostri cieli, e soprattutto cosa succede nella compagnia aeroportuale più importante d’Italia? Solo per citare l’ultimo episodio, il 2 giugno scorso, festa della Repubblica, circa la metà dei 2000 assistenti di volo Alitalia, che avrebbero dovuto essere al lavoro, risultava in malattia e la compagnia era costretta a cancellare ben 175 collegamenti aerei; ora 300 di questi “ammalati” hanno ricevuto contestazioni disciplinari. Ma dietro tanti certificati medici fasulli sta una situazione di disagio più grave, con una compagnia in pesante passivo (198 milioni di euro nel primo trimestre di quest’anno) e con una incognita generale che riguarda la decisione dei paesi membri dell’Unione europea di affidare a Bruxelles la negoziazione con gli Stati Uniti per la liberalizzazione dei voli transatlantici, il che significa che avranno la meglio le compagnie più competitive. Non solo, ma dopo 61 anni dalla prima legislazione aeroportuale italiana, nata in tempi di guerra, si sta affrontano una riforma complessiva del codice di navigazione aerea e delle norme di sicurezza. Per capire come la maggiore compagnia aerea italiana vive questo momento abbiamo incontrato il presidente Giuseppe Bonomi, da poco più di un mese al vertice di Alitalia. Forte di un passato alla presidenza della Sea, la Società esercizi aeroportuali che gestisce Linate e Malpensa, presidenza che ha coinciso con il difficile avvio nel 1998 del nuovo aeroporto di Malpensa 2000, Bonomi non si sottrae alle nuove responsabilità, anzi rilancia in modo inatteso, ponendo l’accento sull’etica. “Cosa può essere eticamente giusto nell’esercizio di un’attività imprenditoriale? – si chiede -. Un’impresa in perdita di esercizio non è giustificabile. Se il capitale sociale, come nel nostro caso, è in parte pubblico e se la società non gestisce servizi pubblici ma ha un’attività rivolta al pubblico, l’etica imprenditoriale è quella di coniugare il bilancio, quindi il fatto che si producano risorse superiori a quelle utilizzate, con la necessità di utilizzare il servizio stesso”. La gestione di una compagnia aerea cos’ha di eticamente corretto o non corretto? In sostanza, come risolvere la disputa sul sistema aeroportuale in Italia e sul riparto del traffico fra i vari aeroporti? “La provincia di Varese, dove l’aeroporto di Malpensa è ubicato, – dice Bonomi – discute oggi fra modello di sviluppo industriale e modello di sviluppo rurale, a Milano e in Lombardia si disputa di Linate e di Malpensa, di Montichiari e di Orio al Serio, in Italia è in palio la supremazia di Roma o di Milano. Nel frattempo, tanto per fare un esempio, nella capitale spagnola si stanno investendo 4 miliardi di euro nel sistema aeroportuale. Non è etico quindi che prevalgano le spinte delle compagnie, i poteri di veto rispetto alle azioni del governo”. Detto questo, si deve comunque discutere su un nuovo modello di sviluppo aeroportuale. . . “Una compagnia aerea come Alitalia, che ha un capitale prevalentemente pubblico, si deve porre la responsabilità sociale d’impresa, deve cioè avere attenzione ai dati economici e finanziari. La prima responsabilità è di fronte a 22 mila famiglie dei lavoratori Alitalia, che stanno affrontando una gravissima crisi del settore “ . Come rispondere a queste lecite preoccupazioni? “Produciamo di più e parliamo di meno. Aeroporti, aerei, clienti, servizi sono il nostro terreno di battaglia”. Come operare nel concreto? “Stiamo lanciando due iniziative su Roma e su Milano. A Roma siamo radicati con 18 mila dipendenti residenti nel Lazio e con molti centri operativi (il centro addestramento piloti di Fiumicino, ad esempio, è fantastico) che non si possono estirpare. Milano è il nostro futuro in termini di occupazione di spazi industriali. Teniamo conto che negli ultimi quattro anni non si era mosso nulla su questo fronte”. Cosa fare ora e in che direzioni? “Dobbiamo essere in condizioni di forze pari con i nostri competitori. A tal fine intendiamo operare in due ambiti: una creazione aperta agli enti pubblici territoriali più rappresentativi ed alla realtà, realizzando a Milano con l’apporto di Sea e di altri una scuola professionale che prepari figure da inserire nelle attività aeroportuali: il personale di terra ha molte specifiche attività che devono comportare grandi professionalità”. E il secondo ambito? “Dobbiamo pensare all’aeroporto come a una grande città, un grosso capoluogo di provincia: dobbiamo quindi offrire servizi ai cittadini di questo agglomerato urbano, e uno dei primi servizi è la realizzazione di asili nido, occupando e gestendo gli spazi dismessi nelle aree attorno agli scali. Questa è un’iniziativa sociale d’impresa, che lancio per la prima volta, ma che non può essere attuata solo da Alitalia, deve essere aperta ad altri enti pubblici territoriali e ad altre realtà del territorio, in modo da dare agli utenti servizi a costi vantaggiosi”. MALPENSA PERDE IL RUOLO DI “HUB” L’hub di Malpensa perde colpi: il perno (questa la traduzione letterale di tale vocabolo inglese) del traffico intercontinentale senza scalo, che doveva affiancare Fiumicino in questo ruolo, acquisendo utenti dagli aeroporti minori posti “a raggio” attorno al grande interporto, non sta svolgendo la missione per la quale era sorto e negli ultimi anni ha perso collegamenti internazionali e voli, tornati in parte sugli altri grandi hub europei: Fiumicino, Zurigo, Parigi, Londra, Francoforte, Amsterdam. Nell’ottobre 1998, quando il nuovo aeroporto fu aperto, si parlò di un disegno strategico relativo alla ripartizione del traffico fra i diversi aeroporti italiani, disegno che oggi appare in crisi, o per lo meno incompiuto. Lo scalo sorto nella brughiera di Gallarate avrebbe dovuto avere 33 milioni di passeggeri entro il 2010; oggi siamo a circa la metà, con 17 milioni, e soprattutto con un traffico in calo del 14 per cento di passeggeri e del 21 per cento di voli nel 2002. Nonostante questi dati poco confortanti, proseguono i lavori previsti per completare lo scalo: il Terminal 1 (il Terminal 2, antecedente, è ora adibito ai voli charter e low cost), inaugurato nel 1998 con due soli satelliti di imbarco passeggeri sui tre previsti, sta per essere potenziato con il terzo satellite; Cargo City, il polo logistico delle merci che sorge accanto allo scalo, è in fase di completamento e alla fine del 2003 la capacità di gestione passerà da 280 mila a 650 mila tonnellate di merci all’anno; sta sorgendo, sempre nell’area aeroportuale, un grande hangar per la manutenzione e la riparazione degli aerei. Luci ed ombre quindi attorno all’interporto, minacciato anche dall’incremento dei voli su Linate, che avrebbe dovuto limitarsi alla navetta Milano-Roma ed ha avuto invece un rilancio importante negli ultimi anni. Il problema sta nella poca chiarezza esistente sulla gestione e ripartizione del traffico aereo, a cui contribuisce anche la crisi di Alitalia (vedi intervista al presidente Giuseppe Bonomi), che dopo la rottura dell’alleanza con Klm ne ha fatta una nuova con Air France, alimentando in tal modo i voli sull’hub di Parigi. Forse la lezione che si può trarre da tutto quanto succede è questa: due hub sono troppi per l’Italia, visto che gli altri paesi europei di rilevante traffico aeroportuale ne hanno uno solo. E ancora: nella scelta fra Fiumicino e Malpensa il bacino di traffico più ricco è indubbiamente il secondo, quindi qui ha più senso un hub. Eppure Fiumicino era hub prima di Malpensa ed è l’aeroporto della capitale, pertanto ha il diritto di continuare ad esistere. Le scelte governative e gli orientamenti che si sono succeduti nel tempo hanno creato una situazione paradossale, di cui oggi paghiamo le conseguenze.