Le “ali” di Chicha Mariani
Il suo cuore ha detto basta prima ancora che la sua volontà ferrea smettesse di cercare la nipote che Chicha Mariani non ha potuto ritrovare, nonostante una pertinace e ininterrotta ricerca durante 42 anni. Maria Isabel Chorobik de Mariani, popolarmente conosciuta col soprannome di Chicha, è stata fondatrice in Argentina dell’organizzazione Abuelas (Nonne) de Plaza de Mayo. Un gruppo di nonne dedicate alla ricerca dei loro nipoti, figli di desaparecidos assassinati dal regime, durante l’ultima dittatura militare, e poi dati illegalmente in adozione.
Sono circa 400 coloro che nacquero durante la cattività delle loro mamme, tra il 1976 ed il 1983, o che vennero sequestrati insieme ai loro genitori per poi essere affidati ad altre famiglie per far sparire le tracce dei sequestrati. Varie decine di sequestrate, erano incinte nel momento in cui vennero inghiottite nel nulla. Torturate per ottenere tutte le informazioni possibili, erano mantenute in vita in attesa del parto. Molto spesso, poche ore dopo, veniva loro praticata una iniezione di pentotal per essere poi essere scaraventate vive in mare aperto da un aereo, durante i conosciuti voli della morte. Sono 128 i nipoti individuati finora, di cui è stata ricostruita l’identità.
Ma tra quei nomi Chicha non ha potuto inserire quello di sua nipote, Clara Anahí. Un “gruppo di lavoro” se la portò via quando aveva appena tre mesi, nel novembre del ’76, dopo aver ucciso la sua mamma, Diana Teruggi. Suo papà, Daniel, figlio di Chicha, venne invece ucciso dieci mesi dopo. Una storia di dolore che spinse questa donna a non restare con le mani in mano. Si unì al gruppo Madres de Plaza de Mayo, dove conobbe a Alicia de la Cuadra con la quale nel novembre del 77 fondò Abuelas.
Furono anni nei quali queste donne, spesso considerate “pazze”, senza appoggi e a volte subendo l’ostracismo dei benpensanti convinti che se qualcuno era sparito «ci sarà un motivo», vagavano da un ospedale all’altro, da un tribunale all’altro cercando i loro cari. Osarono sfidare i sanguinari dittatori con la loro marce a Plaza de Mayo, di fronte alla Casa Rosada, sede del governo argentino, con la testa avvolta in un fazzoletto che le ha contraddistinte in tutti questi anni.
In silenzio, ma con fermezza e dignità. Una scelta rischiosa. Alfredo Astiz, un tenente dell’esercito si infiltrò tra di loro per spiarle da vicino. A lui si deve il sequestro di due religiose francesi e di una delle fondatrici di Madres, torturate e poi scaraventate in mare da un aereo. Il pusillanime non si pentì mai di tale vigliaccheria commessa contro innocenti. E con folle cecità ancor oggi affronta il carcere convinto di essere un eroe.
«A volte nascondo la testa sotto il cuscino e li piango – confessava poco tempo fa Chicha –. Ma tutto quello che risveglia la ricerca, la sensazione di ingiustizia e di ciò che ho dovuto patire, mette delle ali come nessuna altra cosa. È come un motore che porta su di sé tutto ciò che uno ha perso; il motore che ti dà l’amore, quello che viene da dentro. La forza è l’amore per i nostri cari e per quelli degli altri».
Una scuola dura, quella di questa donna scomparsa a 94 anni. Le hanno chiesto cosa le abbia insegnato la sua esperienza: «Che non devi lasciarti mai cadere le braccia – ha risposto –. Essere sempre all’erta. Che non devi mai permettere che si violi un diritto umano, perché poi seguono altre violazioni».
Nonostante i 42 anni di ricerca infruttuosa, continuava a sperare di ritrovare sua nipote. «Penso sempre che un giorno la troverò. Sì, credo che la troverò». E chiosava le sue considerazioni facendo sue le parole di Luther King: «Anche se il mondo dovesse finire domani, lo stesso pianterò il mio albero».