Le agende politiche contro le migrazioni

La questione delle migrazioni continua ad essere al centro delle agende politiche dei partiti e a caratterizzare – come discriminante trasversale – le varie polarizzazioni che si delineano sempre più evidenti in ogni continente. Alcune considerazioni a partire da un’analisi pubblicata sull’ultimo numero di Foreign Affairs
Sbarco di migranti in Italia. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Sebbene con caratteristiche diverse, i processi migratori continuano ad impattare la percezione della realtà da parte dell’opinione pubblica, creando paura, reazioni incontrollate che sfociano in razzismo, islamofobia, antisemitismo e in altre espressioni di quanto di meno umano si possa pensare.

Eppure, in ogni angolo della Terra dove si tenta – perché di tentativo si tratta e i risultati saranno limitati di fronte alla spinta costante di milioni di persone in movimento – di limitare o, addirittura, di opporsi ai processi migratori si denota come sia diventata obsoleta e antistorica la percezione del fenomeno da parte dell’opinione pubblica. Non si tratta di una questione semplicemente di reazione di pancia di fronte al “diverso”, che da sempre crea problemi perché non è “come noi” e non è “uno di noi”, è anche una questione di normativa che sovraintende alla necessaria e dovuta regolamentazione degli arrivi dei migranti in un certo Paese o in una certa regione del mondo.

In una interessante analisi pubblicata recentemente dalla rivista di geopolitica statunitense Foreign Affairs si mette in evidenza come, limitando l’immigrazione – o cercando di limitarla – i Paesi di tutto il mondo, sia ricchi che poveri, perdono opportunità fondamentali per stimolare la crescita economica e l’unità sociale al loro interno.

Nel frattempo, le persone più vulnerabili del mondo sono lasciate senza protezione e questo creerà sempre più sperequazioni sociali a livello mondiale e locale con conseguenti tensioni sociali che saranno sempre più difficili da gestire.

È ovvio che fa parte dei diritti di ciascun Paese gestire i propri confini e decidere chi può rimanere legalmente all’interno di essi e, soprattutto, quante persone possono arrivare dall’esterno e stabilirvisi. Tuttavia, piuttosto che spendere decine di miliardi di dollari all’anno esclusivamente per l’applicazione di nuovi controlli delle frontiere, i vari governi potrebbero investire in un approccio che colleghi le tendenze dell’immigrazione con le esigenze del mercato del lavoro e le lacune dello sviluppo.

I processi migratori, infatti, sono globali e, quelli che avvengono in Europa, per esempio, sono una esigua minoranza rispetto alle masse in movimento all’interno di Africa, Asia e, anche, America Latina e Meso-America. In tal senso, la migrazione può funzionare per tutti come una opportunità. Si tratta di dare forma a un sistema all’interno del quale le migrazioni non appaiano più come un problema o una emergenza da cui difendersi, quanto come una via perché i Paesi che accolgono possano trarre anche un vantaggio.

I nuovi arrivati in un certo contesto, soprattutto se più ricco e con un minore numero di elementi critici – guerre, carestie, problemi causati da fenomeni climatici, discriminazioni etniche o religiose, ecc. –, soprattutto, quando sono individui qualificati, devono poter usufruire di opportunità di immigrazione sicure e legali.

Questo aiuterebbe la nazione di arrivo ma anche quella di origine, in quanto i migranti diventerebbero agenti di reinvestimento, nell’alimentare lo sviluppo delle loro comunità di origine, grazie alle risorse acquisite nel Paese di arrivo. Tuttavia, anche questi ultimi hanno sempre più bisogno di manodopera per lavori, occupazioni e produzioni che i propri cittadini non sono più in grado di svolgere, sia per i processi di denatalità che caratterizzano l’Occidente che per l’automazione sempre più totalizzante o, semplicemente, perché con il progresso degli ultimi decenni si ritiene degradante impegnarsi ancora in certe mansioni.

Tuttavia, come ben sappiamo, la lettura della politica – diciamo pure a livello mondiale – è ben lontana da quella appena auspicata. In tutto il mondo, il contraccolpo dell’immigrazione sta ridisegnando la politica e, purtroppo, lo sta facendo con un andamento condiviso.

Elezione dopo elezione, in quasi tutti i Paesi potenziali punti di approdo dei processi migratori, gli elettori hanno appoggiato candidati che promettono di fare tutto il necessario per fermare il flusso di arrivi non autorizzati. In molti casi, come in Europa e anche in Italia, si impegnano a rimandare milioni di persone nei loro Paesi d’origine, senza tener conto se si tratti di teatri di guerra o se la gente sia perseguitata per un qualsiasi motivo etnico, culturale o religioso.

Ormai, è ben noto che politici e gruppi anti-immigrati diffondono disinformazione per suggerire che i Paesi sono “invasi” da “ondate di migranti senza documenti”, che rappresentano una “minaccia incombente per la sicurezza” di quella specifica nazione.

Basta fermarsi a considerare quante volte si specificano nomi e provenienza estera di autori di crimini più o meno gravi nelle città e nei Paesi italiani, senza per altro menzionare quando i criminali sono italiani, specificando le efferatezze (i femminicidi per esempio) di cui anch’essi sono capaci. Sono comuni da anni le immagini di carovane di migranti, di barche sgangherate in mare e di caos alle frontiere, proposte come carte per screditare un governo o una gestione amministrativa, sia nazionale o anche locale, precedente.

Foreign Affairs pubblica dati statistici importanti e significativi, per mostrare quanto il fenomeno, a discredito di chi ha vinto le elezioni giocando la carta antimmigrazione, sia in crescita costante. Negli USA si è toccato un numero record di tentativi di attraversamento del confine tra Stati Uniti e Messico: quasi 2,5 milioni solo nel 2023, rispetto a meno di mezzo milione all’anno all’inizio del millennio.

Anche il nostro continente segue lo stesso andamento. Guardando alle statistiche, il numero di attraversamenti non autorizzati delle frontiere è salito a 380.000 nel 2023, il massimo dal 2016. In altre aree del mondo, anche dove l’ostilità nei confronti degli immigrati è più pronunciata e, in alcuni casi, persino violenta, i migranti continuano a rischiare la morte e gli abusi pur di metter piede in un luogo che offre loro speranze di vita e di lavoro.

Fanno notare gli analisti del Foreign Affairs che di fronte a un fenomeno così globale, la stragrande maggioranza degli Stati, che continuano a concentrarsi sulle restrizioni alle frontiere, sulle deportazioni di massa o sull’abrogazione delle tutele legali per i richiedenti asilo, non riusciranno a risolvere il problema. Si limiteranno a reindirizzarlo creando una nuova serie di problemi che, a lungo termine, alimenteranno sensibilmente la criticità anziché risolverla.

Fin d’ora, queste politiche danno forza alle reti criminali e ai mercati neri e peggiorano la situazione delle loro stesse economie. Il sistema continuerà a decadere, mentre proprio questi movimenti potrebbero offrire la possibilità di affrontare positivamente altre emergenze altrettanto gravi, contribuendo a un maggior equilibrio internazionale e ad una crescita interculturale positiva non solo per l’oggi, ma anche per il futuro dell’umanità.

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