Le acrobazie di Anne-Sophie Mutter

L'Accademia di Santa Cecilia a Roma ha ospitato la celebre artista alle prese con  un concerto beethoveniano
AP Photo/Eckehard Schulz

Beethoven scrisse il suo unico Concerto per violino e orchestra in re maggiore nel 1806, l’anno della Quarta Sinfonia e delle ripresa della sua opera Fidelio. Era dunque nel pieno della creatività. Il concerto lo dedicava ad un virtuoso straordinario, Franz Clement che ne fu poi anche il primo interprete.

Beethoven, dopo la storia d’amore coniugale eroica del Fidelio desiderava, forse inconsciamente, esprimere un altro lato del suo animo complesso, quello struggente, delicato, in una parola: lirico.  Nel Concerto ha profuso così la sua vena appassionata ed intima al tempo stesso, certo unita al virtuosismo di cui davano prova i suoi Concerti per pianoforte e orchestra. Anne-Sophie Mutter è un virtuosa di grande spessore, sulla scena da quando aveva sedici anni e fu lanciata da von Karajan.

Ha ora 53 anni, due figli, è una bella signora bionda vestita di un verde squillante, e impegnata a fondo nella musica contemporanea – diversi autori hanno scritto appositamente per lei – e in attività benefiche. Forse anche da Karajan ha preso la determinazione, il gusto per il “bel suono”, la sensibilità musicale: doti  che unite alla tecnica sbalorditiva, ne fanno, volente o meno, una star del concertismo mondiale. Si è presentata dopo 26 anni a Roma, a Santa Cecilia, appunto con il concerto beethoveniano.

Dirigeva Antonio  Pappano, attento ad  accompagnare signorilmente, da par suo, la performance della virtuosa funambolica  che quanto a suoni “filati”, trilli, arpeggi, pizzicati, ha ben pochi rivali. Ama dilatare i tempi per far cantare il suo violino al massimo, un po’ come un grande cantante d’opera. Predilige “rubare” i tempi con pianissimi al limite dell’udibile, fortissimi scatenati, sovracuti d’acciaio. Lo strumento svetta sopra l’orchestra che Pappano dirige come un tappeto morbido e accogliente. Il primo tempo è cantabilissimo e Pappano sottolinea il pathos, lei glissa dolcemente sulla melodia; il secondo, un canto infinito; il Finale un virtuosismo accelerato, vorticoso. Insomma, una esplosione e il pubblico è con lei. Forse un po’ più di tenerezza, di emozione? Chissà cosa avrebbe pensato il grande e incontentabile Ludwig  di Anne-Sophie, la maga dell’archetto.

 

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