Le accise tra giustizia sociale e ambiente
«Le accise sulla benzina sono bellissime!» Potremmo partire da questa affermazione provocatoria per riflettere sulla tassazione dei carburanti. Essendo terminato il taglio sulla tassazione dei carburanti e non essendo stato rinnovato per il 2023, le accise (così si chiamano infatti le tasse sulla fabbricazione e vendita di prodotti di consumo, ndr) sono risalite al livello pre-guerra. Anche se tutto era deciso e previsto da tempo, la tempesta politica è stata immediata.
L’opposizione grida contro il presidente Meloni, che neanche tre anni fa levava la sue voce contro quelle accise “scandalose”, mentre ora da primo ministro le riporta in alto.
Così gridando, però, si finisce per usare la stessa facile logica demagogica: quando non si hanno responsabilità di governo ci si strappa le vesti contro le tasse e si aizzano i cittadini contro il governo che le impone. Magari anche dimenticando – visto che si tratta di combustibili fossili – tante belle affermazioni ambientaliste.
Qualcuno poi fa lo stesso gioco anche dai seggi della maggioranza, pur avendo votato pochi giorni prima una legge di bilancio che prevedeva il rialzo delle accise.
Sgombriamo subito la discussione dal fatto che così le compagnie petrolifere, i rivenditori o i benzinai avrebbero l’occasione di speculare a spese dei consumatori: i dati ci dicono che il prezzo medio alla pompa di benzina e gasolio è aumentato proprio di quei 18 centesimi di accise in più e non oltre.
Lasciamo stare per un momento le dispute tra i partiti e chiediamoci cosa dobbiamo pensare di questa tassa, che ci era stata ridotta quando il prezzo del barile di petrolio viaggiava oltre i 100 dollari (oggi siamo ad 80).
È una tassa che in un anno può portare una preziosa decina di miliardi nelle casse della nostra super indebitata repubblica, sempre a corto di soldi per la scuola o per la sanità, e al tempo stesso sempre a rischio di tracollo finanziario.
È una tassa che scoraggia la nostra mastodontica combustione di idrocarburi da autotrazione, che solo in teoria abbiamo promesso di portare a zero in pochi anni per salvare il pianeta, mentre in pratica vorremmo far finta di niente e comprare automobili sempre più pesanti (da 1300 kg in media vent’anni fa agli attuali 1600). È una tassa che va nella direzione di ridurre la concentrazione di inquinanti nelle nostre città, troppo spesso oltre i livelli massimi di polveri tollerabili.
«Se parli così evidentemente vai poco in auto, oppure hai abbastanza soldi per non badarci», immagino stia pensando più di qualcuno che sia arrivato a leggere fin qui. «Tanto a soffrire sono sempre le famiglie a basso reddito».
Ad aiutarci in questa riflessione è una ricerca dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Flash n.2, del 18-10-22): negli scorsi mesi solo un terzo del beneficio delle minori accise è andato alla metà più povera della popolazione. Come a dire che continuare a tenerle basse avvantaggia soprattutto la metà più ricca degli italiani (oltre a fare il gioco dei Paesi produttori, tra cui Russia e Paesi del Golfo, che così potrebbero contare su una domanda di petrolio più robusta da parte italiana).
Se davvero ci si preoccupa di chi sta peggio, sia la teoria che l’esperienza passata ci dicono che la strada è un’altra: dare sostegni non proporzionali ai consumi e mirati alle famiglie a basso reddito. Quello stesso studio dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha verificato che i vari bonus (tra cui quelli di 200 e 150 euro) hanno funzionato bene da questo punto di vista.
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